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Centrafrica, la «Speranza» è anche il fondo europeo

31 Dicembre 2016

BANGUI, Centrafrica - Josué sta dormendo profondamente appoggiato al seno della mamma. È nato solo da qualche ora nel Centro di salute di Petevo, in un quartiere della capitale centrafricana, Bangui. La madre, a 26 anni, è al terzo parto nello stesso centro. «Mi accolgono sempre molto bene qui – afferma con un sorriso velato da un po’ di stanchezza –. Tutto è andato bene e ho deciso di dare a mio figlio il nome di mio padre». Josué è uno dei circa 80 bambini che vengono messi al mondo ogni mese a Petevo. Da quest’anno il modesto centro di salute fa parte dei progetti sanitari finanziati da un Fondo fiduciario dell’Unione Europea chiamato «Bekou», che nella lingua locale, sango, significa «Speranza». «Il centro è attivo dalla fine degli anni cinquanta», spiega Scholastic Ouba-Mossoro, a capo della struttura: «Il dipartimento della maternità è stato però aperto grazie all’organizzazione umanitaria “Alima” lo scorso aprile e sta aiutando in modo incredibile la popolazione. Le madri vengono qui da tutta la città o dai villaggi vicini – continua il direttore –, sanno che possono fidarsi della professionalità del nostro staff. Abbiamo fatto del nostro meglio anche durante i periodi più bui della guerra civile, quando ricevevamo 200 pazienti al giorno». Nonostante le difficoltà, infatti, il centro è diventato un faro per le madri di Bangui: spesso molto giovani, in gravi condizioni di povertà, e a volte vittime di violenze. «Il Fondo fiduciario Bekou è nato proprio per questo», spiega Davide Stefanini, rappresentante del fondo in Centrafrica presso la delegazione dell’Unione Europea. «Stiamo finanziando in tutto il Paese progetti che aiutino la popolazione in vari settori. In seguito al colpo di Stato del 2013 – continua Stefanini –, le violenze hanno devastato il tessuto sociale ed economico del Centrafrica. Adesso è quindi arrivato il momento delicato della ricostruzione ». Firmato inizialmente a Firenze da Francia, Germania e Olanda nel luglio del 2014, al nucleo fondatore di Bekou si sono poi aggiunti altri Paesi donatori tra i quali Italia e Svizzera. Al momento si è raggiunta una quota di oltre 160 milioni di euro, il cui 80% è già utilizzato sul campo per investire soprattutto nei settori sanitario, sociale, economico ed educativo. Rispetto al classico sistema del mondo umanitario, tale fondo è stato concepito per essere multi-donatore, più agile e più rapido nei finanziamenti alle organizzazioni non governative locali e straniere. I media, inoltre, sono una parte altrettanto importante nel piano della «riconciliazione nazionale e coesione sociale » promossa dal fondo. Il progetto della radio centrafricana Ndeke Luka ne è un chiaro esempio. «I nostri programmi puntano molto sul concetto della resilienza per far fronte al trauma del conflitto civile centrafricano – spiega Alexandre Delvaux, rappresentante della fondazione svizzera, Hirondelle, che da 15 anni sostiene Ndeke Luka –. Ecco perché attraverso la radio stiamo riuscendo a smentire false voci o a neutralizzare dei possibili nuovi focolai di violenze, contribuendo così al ripristino della pace il prima possibile». Il Centrafrica vive da decenni una realtà segnata da colpi di Stato e di conflitti legati alle risorse naturali e marginalizzazione della popolazione. Oltre al finanziamento di progetti, c’è infatti una dimensione legata ai principi umani di educazione al senso civico che il fondo sta cercando di promuovere. «Questo è un Paese dove mancano strade, scuole, ospedali, e molti altri servizi di base – conclude Stefanini –. Il Fondo Bekou è quindi un’opportunità preziosa per le autorità e le associazioni locali e straniere di fare cose utili per il prossimo». Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 31 dicembre 2016

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