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CENTRAFRICA / L'enigma Touaderà

03 Febbraio 2017

BANGUI, Centrafrica “Un soldato della missione Onu in Centrafrica (Minusca) è morto martedì 3 gennaio . Mentre erano di pattuglia nella cittadina di Bokayai, nel nord-ovest del Paese, le forze di pace sono state attaccate da un gruppo di circa 50 uomini armati. La missione condanna con forza tali aggressioni che possono costituire crimini di guerra”. Era il 5 gennaio quando Vladimir Monteiro, portavoce della Minusca, approvava l’ennesimo comunicato stampa sull’uccisione dei suoi militari. In meno di una settimana dall’inizio dell’anno, c’erano già tre morti tra i caschi blu: due marocchini e uno del Bangladesh. Dall’altra parte della capitale Bangui, nell’Ufficio Onu per il coordinamento umanitario (Ocha), la tensione era la stessa: “Abbiamo avuto cinque operatori uccisi nel 2016 – spiegava con grande frustrazione l’allora direttore, Fabrizio Hochschild –, la situazione è davvero preoccupante”. Negli ultimi 6 mesi, il settore umanitario ha registrato più di 300 attacchi al proprio personale o materiale. La Repubblica centrafricana sta infatti attraversando un periodo delicatissimo. Al quarto anno dall’inizio di quest’ultimo conflitto civile, sono diversi gli ostacoli verso il ripristino della stabilità. A Bangui regna una strana calma, ma il resto del territorio è in mano a una moltitudine di gruppi armati che non vuole deporre le armi. Gli “anti-balaka”, le forze di auto-difesa sedicenti cristiane, sono poco organizzati e non hanno leader riconosciuti con cui negoziare o chiari obiettivi da conquistare. Occupano fette di territorio soprattutto nella regione occidentale del Paese, improvvisano posti di blocco e impongono tasse ai passanti, se la prendono con le autorità e anche con le organizzazioni umanitarie. L’ex coalizione a maggioranza musulmana della Seleka è invece formata da gruppi più organizzati e ben armati, ed è un problema serio per il commercio e per i villaggi. Hanno tutta via iniziato a combattersi tra di loro, soprattutto nella parte orientale del Centrafrica. Negli ambienti della politica, molti incolpano la Francia per le condizioni in cui si è ridotto il Paese. “Parigi mi ha spodestato perché volevo dare il petrolio del nord ai cinesi”, aveva più volte affermato Francois Bozizé, l’ex presidente vittima del colpo di Stato del 24 marzo 2013, oggi riparato in Kenya. Nella regione settentrionale di Ndelé, Francia e Cina stanno contrapponendosi per le potenziali riserve di greggio ancora da esplorare a pieno. Gruppi ribelli sarebbero stati assoldati da Pechino per controllare i territori dove sorgeranno i pozzi petroliferi. Inoltre, si avverte una forte influenza del vicino Ciad, che da anni coltiva legami con gran parte dei gruppi ribelli. Idriss Déby, rieletto per la quinta volta nell'aprile del 2016, non sembra avere alcun interesse a favorire la stabilizzazione del suo vicino. A complicare il quadro si aggiungono le enormi risorse di oro, diamanti e legno. Sebbene il Centrafrica sia stato sospeso dal processo di Kimberley nel 2013, le autorità permettono tuttora traffici di diamanti “insanguinati” con il Camerun. “I militari camerunesi della Minusca stanno trafficando diamanti e oro dentro il loro Paese”, ha recentemente affermato Roland Achille Bangué-Betangaye, un membro dell’Assemblea nazionale centrafricana. Il Centrafrica è un Paese chiuso, essendo privo di sbocchi sul mare e circondato da Stati africani con gravissime guerre decennali come Sud Sudan, Sudan e la Repubblica democratica del Congo. Al suo interno, invece, il territorio centrafricano è teatro di violenze legate anche alla transumanza del bestiame portata avanti stagionalmente soprattutto dall’etnia dei fulani, pastori semi-nomadi, una discreta parte dei quali è ormai armata di Kalashnikov da tempo. Il risultato di questo quadro molto complesso del Paese ha provocato centinaia di morti, 2,6 milioni di civili (oltre metà dei 4,5 milioni di abitanti) con urgente bisogno di aiuti, 410mila sfollati, e altri 420mila profughi negli Stati limitrofi. L’enigmatico Faustine-Archange Touadera, ex rettore dell’università di Bangui ed ex primo ministro durante gli ultimi anni dell’era-Bozizé, è stato eletto presidente lo scorso marzo. C’è infatti chi si domanda se riesca ad agire in modo autonomo, oppure se sia fortemente influenzato da Bozizé e i suoi alleati, molti dei quali hanno preso posto nel governo. Fino ad ora, purtroppo, il capo di Stato non è comunque riuscito ad apportare un valido cambiamento: “Gran parte del problema sta nel desiderio di Touadera di voler prima disarmare i ribelli e solo in seguito offrirgli potere politico – afferma un funzionario della Minusca –, ma per fermare le violenze sarebbe molto meglio agire al contrario”. Con la conferenza dell’Unione europea (Ue) dello scorso novembre, Bangui ha raccolto dai Paesi donatori 2,2 miliardi di euro per i prossimi tre anni. Aleggia però un certo risentimento all’interno della leadership politica locale poiché tale somma non sarà gestita dal governo centrafricano, ma servirà a finanziare direttamente vari progetti attraverso le organizzazioni straniere che lavorano sul territorio. “A Bruxelles c’era un’atmosfera molto positiva di agenzie umanitarie, gruppi diplomatici, attori religiosi, leader della società civile e membri del settore finanziario pronti ad accompagnare il Paese verso la ricostruzione – afferma Jean Pierre Reymondet-Commoy, ambasciatore dell’Ue in Centrafrica –. Continueremo quindi ad appoggiare la democrazia del governo centrafricano per contrastare quei gruppi ribelli che vogliono imporre la loro legge con la forza e la brutalità”. Sono però assai fragili le condizioni in cui lavorano le organizzazioni umanitarie e politiche. La Minusca e le decine di agenzie per l’emergenza e lo sviluppo sono sprovviste di personale con la giusta esperienza e capacità, e quando lo ottengono, gli operatori durano una media di massimo un anno. “Pochi finanziamenti, mancanza di personale adeguato, regolari aggressioni contro lo staff, e saccheggi dei nostri uffici – ammette il capo-missione di un’organizzazione umanitaria francese –, queste sono solo alcune delle sfide che affrontiamo quotidianamente”. La frustrazione è generale per chi tenta di portare aiuti, soprattutto a causa dell’impunità con cui i gruppi armati continuano a uccidere e provocare atti di gravissima ferocia che un giorno potrebbero essere giudicati dai tribunali internazionali come crimini di guerra e contro l’umanità. “Nel nord ci sono molte milizie che per quattro anni hanno distrutto scuole e ospedali, impedendo ai bambini di essere istruiti e alle madri di partorire – conclude la deputata Emilie Beatrice Epaye, rappresentante della regione di Marcounda e presidente della Commissione esteri –. Con il vescovo della diocesi di Bossangoa stiamo infatti cercando di convincere i vari ribelli a interrompere le violenze e contribuire alla riconciliazione nazionale”.

BOX FONDO BEKOU – Sottoscritto a Firenze nel luglio del 2014 dai ministri della cooperazione di Francia (ex potenza coloniale con forti interessi geopolitici in Centrafrica), Germania e Olanda, il Fondo Bekou (“bekou” significa speranza in lingua sango) finanzia progetti in Centrafrica nei settori sanitario, sociale, economico ed educativo. Ai tre Paesi originari si sono in seguito aggiunti Italia e Svizzera. Il Fondo, dotato di oltre 130 milioni di euro, ha già destinato l'80% del denaro ad attività sul campo. “Stiamo finanziando in tutto il Paese progetti che aiutino la popolazione soprattutto nei settori sanitario, sociale, economico ed educativo – spiega Davide Stefanini, rappresentante del fondo in Centrafrica –. Il tessuto sociale ed economico del Centrafrica è distrutto, siamo quindi arrivati al momento della ricostruzione”. Tale fondo è stato concepito per essere multi-donatore, più agile e più rapido nei finanziamenti alle organizzazioni non governative locali e straniere. Del denaro ne ha beneficiato per esempio il Centro di salute di Petevo, situato nella capitale centrafricana, Bangui. “Il dipartimento della maternità è stato aperto grazie al fondo e all’organizzazione umanitaria ‘Alima’ lo scorso aprile e sta aiutando in modo incredibile la popolazione”, racconta Scholastic Ouba-Mossoro, a capo della struttura. Anche i media stanno ricevendo finanziamenti: “I nostri programmi puntano molto sul concetto di resilienza – afferma Alexandre Delvaux, rappresentante della fondazione svizzera, Hirondelle, che da 15 anni sostiene la radio centrafricana Ndeke Louka –. Stiamo infatti smentendo false voci e neutralizzando possibili nuovi focolai di violenze.” Matteo Fraschini Koffi per NIGRIZIA - Febbraio 2017