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Nigeria, «a Chibok perso troppo tempo»

09 Maggio 2017

LOMÉ, Togo - All’indomani della liberazione di 82 studentesse rapite dai militanti islamici a Chibok, nel nordest della Nigeria, la domanda principale è una sola : come mai così tanto tempo per i negoziati? A sollevare tale questione è il cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo della capitale nigeriana, Abuja. «Ringraziamo Dio perché queste ragazze hanno potuto riabbracciare le loro famiglie, ma mi chiedo – ha commentato ieri il religioso all’agenzia Fides –: come mai si sono dovuti aspettare tre anni perché questo avvenisse? ». «Tre anni di angoscia che potevano essere evitati». Tra i maggiori promotori della campagna per liberare le liceali, Onaiyekan ha espresso forti perplessità riguardo a tale processo. «Il governo ci ha sempre risposto che non poteva trattare con i terroristi, scambiando le ragazze con alcuni detenuti di Boko Haram – continua il cardinale–. Ma è quello che alla fine è successo». Già poco prima della liberazione avvenuta sabato scorso, gli analisti parlavano del «rilascio di alcuni comandanti jihadisti» e di una «cifra per il riscatto piuttosto importante». I negoziati susseguitisi durante gli ultimi tre anni e i mandati di due presidenti hanno provocato infatti enormi sofferenze, tanto alle vittime del sequestro, quanto alle loro famiglie. In una cerimonia abbastanza rapida, il presidente nigeriano, Muhammadu Buhari, si è fatto fotografare con le liceali di Chibok, ma poco dopo ha preso l’aereo per recarsi in un ospedale di Londra. A 74 anni, infatti, il capo di Stato della più grande potenza petrolifera africana appare sempre più malato. Per questo, nonostante le frequenti rassicurazioni da parte della presidenza, le redini dell’Amministrazione nigeriana sono ancora una volta nelle mani del vice di Buhari, Yemi Osinbajo. «Non c’è motivo di preoccuparsi – recitava ieri una nota governativa –. Il governo continuerà a funzionare sotto la leadership del vice-presidente», il quale aveva già assunto i pieni poteri durante la precedente convalescenza londinese del presidente durata quasi due mesi lo scor- so inverno. La liberazione delle ragazze di Chibok, sequestrate a metà aprile 2014 in seguito a un feroce attacco degli jihadisti, ha dato quindi qualche speranza per le oltre 100 studentesse ancora nella morsa di Boko Haram. L’agognato ritorno a casa, però, resta un’incognita per le vittime e i propri familiari. Infatti, non si sa con precisione quello che queste giovani donne hanno dovuto subire durante la prigionia. «Due di loro sono tornate con delle evidenti ferite – ha affermato un senatore, Shehu Sani – : una cammina con le stampelle perché ha una gamba amputata e l’altra non può più muovere il polso». Sono invece ancora più profondi i danni psicologici che hanno subito le ragazze in tre anni di prigionia. Per questo si sono verificati casi in cui alcuni membri della famiglia si sono rifiutati di accogliere la vittima. «I ribelli di Boko Haram hanno ucciso, torturato, stuprato, e praticato matrimoni forzati con centinaia di ragazzine e donne – spiega Osai Ojigho, direttore di Amnesty in Nigeria –. Tutte hanno subito un lavaggio del cervello e sono state persino costrette a combattere per i jihadisti». La presidente della Camera dei Deputati italiana, Laura Boldrini, in questi giorni in Nigeria, ha incontrato ieri ad Abuja le famiglie che hanno lasciato le proprie case e i villaggi per sfuggire agli uomini di Boko Haram e ora si trovano in un campo di baracche, il Kuchingoro Idp Camp, a quindici minuti dalla capitale, dove sono rientrate le 82 ragazze di Chibok. Boldrini ha incontrato anche i promotori di #bringbackourgirls, che ogni giorno da oltre tre anni manifestano a favore della definitiva liberazione delle rapite da Boko Haram. Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 9 maggio 2017

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