La pace in Centrafrica parte da cinque punti
LOMÉ ( TOGO) - «La Santa Sede è molto preoccupata per l’intensificarsi del conflitto in corso e per i tanti civili indifesi, morti e feriti durante gli attacchi, a cui si aggiunge la gravissima situazione di rifugiati e sfollati interni». Per l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per le relazioni con gli Stati, la situazione nella Repubblica centrafricana continua ad aggravarsi. «Il dialogo dovrebbe vertere su un cessate il fuoco di tutte le parti coinvolte nel conflitto», afferma monsignor Gallagher nell’appello pubblicato dall’agenzia Sir, in seguito all’incontro ministeriale a porte chiuse sul Centrafrica avvenuto durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. «Resta fondamentale il disarmo dei gruppi armati, il reinserimento dei loro membri nella società civile e la garanzia della giustizia per le vittime degli attacchi. Inoltre – ha spiegato l’arcivescovo –, bisogna attuare un ritorno protetto di migranti e rifugiati, sia cristiani che musulmani, che dovrebbero rientrare in possesso delle proprietà sot- tratte dai guerriglieri». IlVaticano ha proposto questi cinque punti come “road map” per il fragile processo di pace in corso in Centrafrica dove la guerra civile, iniziata nel 2013, continua a mietere vittime. Si stima che siano «migliaia i morti e oltre 600mila gli sfollati» causati dagli scontri tra milizie appartenenti alle comunità cristiana e musulmana. La missione Onu per la stabilizzazione del Paese (Minusca) ha ammesso di avere grandi difficoltà a gestire la situazione, mentre il governo ha dimostrato di riuscire a controllare solo alcuni quartieri della capitale, Bangui. Il resto del territorio è in mano a gruppi armati locali e provenienti dagli Stati limitrofi come Sudan e Ciad. Il Vaticano ha pertanto richiesto «un’estensione del mandato della Minusca con azioni di pace più efficaci nella tutela dei civili, soprattutto donne e bambini, senza distinzione di fede religiosa o rango». Il Centrafrica era stato una delle mete del tour africano del Pontefice avvenuto nel novembre del 2015. In quel periodo le violenze si erano improvvisamente arrestate. La pace non è, però, durata a lungo. Sia i ribelli a maggioranza musulmana dell’ex coalizione Selekà, che le milizie di autodifesa cristiane chiamate “anti-balaka”, sono responsabili di gravi violenze che hanno colpito, in particolare, la popolazione civile. In questo panorama fosco, un segno di speranza è rappresentato dal disarmo, giovedì, di due dei tredici gruppi che avevano aderito al patto siglato il 19 giugno a Roma, grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio. Si tratta dell’Union des forces republicaines (Ufr), di Bouar, e del Front démocratique du peuple centrafricaine (Fdpc) del villaggio di Zoukombo. Nei giorni scorsi, aveva deposto le armi un’altra formazione. Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 23 settembre 2017
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