La Chiesa è nel mirino perché sta con la popolazione
La crisi nella Repubblica democratica del Congo ha raggiunto livelli elevatissimi di allarme. Chi protesta in modo pacifico viene ucciso o rapito. Chi esige democrazia, chiedendo l’abbandono del potere da parte del presidente Joseph Kabila dopo 17 anni, viene minacciato o imprigionato. E i 15 morti delle manifestazioni promosse a fine anno dai laici cattolici rappresentano purtroppo solo una parte dell’intolleranza dimostrata dalle autorità, mentre il continuo rinvio delle elezioni generali – annunciate per la fine del 2016 e posticipate al 23 dicembre di quest’anno – non fa che alimentare la tensione. Violenze e terrore segnano la quotidianità di un Paese vasto quanto l’Europa occidentale, con migliaia di profughi innocenti che continuano a riversarsi negli Stati limitrofi.
Il ruolo della Chiesa locale.
In molte regioni e nella stessa capitale Kinshasa la Chiesa rappresenta l’autorità più riconosciuta dalla popolazione. I religiosi sono infatti presenti in quasi tutti i settori della società congolese: istruzione, sanità, occupazione e molti altri. Da quando la Chiesa cattolica ha anche assunto un ruolo nella mediazione politica (con gli accordi di San Silvestro 2016 per l’uscita di scena di Joseph Kabila) e nelle manifestazioni di piazza contro il presidente, la tensione è alle stelle. In un apparente tentativo di calmare gli animi, il governo ha quindi annunciato ieri una Commissione d’inchiesta: in soli dieci giorni ascolterà i «testimoni delle violenze perpetrate durante le manifestazioni e identificherà i responsabili». Un’inchiesta ordinata a poche ore dall’annuncio del Papa e dopo settimane di proteste della società civile e di minacce e intimidazioni da parte del governo ai vertici della Chiesa, primo fra tutti l’arcivescovo di Kinshasa Laurent Monsengwo Pasinya. La situazione politica resta altresì in- certa e tesa, con il coinvolgimento di attori internazionali, non soltanto regionali.
Kabila non lascia.
Nell’unica conferenza stampa concessa ai media locali e internazionali negli ultimi cinque anni, il presidente Joseph Kabila (al potere dal gennaio di 17 anni fa dopo la morte del padre Laurent-Désiré) non ha voluto affrontare neanche lontanamente l’ipotesi di dimettersi. «Dobbiamo avere le elezioni come previsto a fine dicembre», ha dichiarato due settimane fa –. Dalla parte dell’opposizione, invece, non c’è alcuna proposta se non un salto nel vuoto». Le sfide legate all’organizzazione delle prossime votazioni sono comunque molteplici e complicano ulteriormente il quadro generale.
Il dramma del Kasai.
Con l’aggravarsi delle violenze dall’agosto del 2016, la relazione tra la popolazione della provincia centrale congolese e il governo resta molto tesa. Nel mirino soprattutto i ribelli della milizia Kamwina Nsapu. È proprio nel Kasai che le Nazioni Unite avevano trovato nel 2017 diverse fosse comuni con «centinaia di morti», vittime delle violenze provocate dalla milizia ma anche dall’esercito regolare congolese.
La violenze nel Kivu.
Numerosi gruppi ribelli, sostenuti soprattutto dall’estero, lottano per occupare fette di territorio ricche di metalli preziosi su cui riscuotere le “tasse” per lo sfruttamento. «Le aree del Nord e Sud Kivu ospitano gran parte dei circa 70 gruppi armati presenti in Congo – affermano gli esperti –. È qui che si trova l’epicentro delle violenze e delle crisi umanitarie del Paese ». L’instabilità resta legata però soprattutto alle risorse naturali che fanno gola a molti Paesi. Centinaia di società cinesi, Usa, canadesi ed europee sono in competizione per accaparrarsi oro, petrolio, rame, cobalto, e altri metalli preziosi. E non è una novità scoprire che decenni di conflitti in Congo derivino da questo aspetto.
NON LASCIA:
Joseph Kabila Kabange, 46 anni, è divenuto presidente della Repubblica democratica del Congo in seguito all’assassinio di suo padre Laurent-Désiré Kabila, il 16 gennaio 2001. Vincendo in modo “controverso” le elezioni presidenziali nel 2006 e nel 2011, il governo Kabila è attualmente «incostituzionale»: entro il 2016 dovevano infatti essere organizzare le elezioni. Da allora però rinviate, mentre resta la condizione di ineleggibilità: la Costituzione non prevede la candidatura di un presidente congolese per un terzo mandato.
Matteo Fraschini Koffi © RIPRODUZIONE RISERVATA