«Covo di spie e trafficanti: il Paese è nel caos»
LOMÉ, Togo - Inutile girarci attorno: nella maggior parte del Niger regna l’anarchia. La legge del più forte. Non certo quella del governo di Mahamadou Issoufou, dal 2011 presidente di uno dei più vasti Stati dell’Africa subsahariana. Per diversi anni in fondo alla lista degli indici di sviluppo a livello mondiale, il Niger è ormai sempre più insicuro. Proprio ieri è entrato nuovamente in vigore lo stato d’emergenza in tre province. «La situazione della sicurezza nelle regioni di Diffa, Tahoua e Tillabéry continua a essere minacciata dagli attacchi terroristi – recitava un comunicato governativo –. Tutta la regione saheliana, Niger incluso, è occupata da vari gruppi jihadisti formatisi dopo gli avvenimenti della Libia nel 2011».
Militanti islamici, mercanti d’armi, trafficanti di esseri umani e di merce di ogni genere sfruttano da decenni un territorio grande oltre quattro volte l’Italia e popolato da appena 20 milioni di persone. Circa l’80 per cento del Niger è deserto, diventato un cimitero per le decine di migliaia di profughi che tentano di attraversarlo ogni anno. La polverosa Niamey è tra le capitali africane più inospitali a causa di un clima che raggiunge facilmente i 40 gradi. Un tempo città tranquilla e ignorata dal resto del mondo, ora Niamey è al centro delle dinamiche internazionali legate alla «lotta al terrorismo » e alla migrazione africana verso l’Europa. «Un nido di spie – titolava recentemente il quotidiano statunitense, The Wall street journal – . Diplomatici, agenti dei servizi segreti e negoziatori di ostaggi si incontrano ogni sera sulle terrazze degli hotel di Niamey per scambiarsi le informazioni».
Il Niger è l’unico Stato africano insieme al Ciad a far parte di due forze militari multi-regionali che combattono contro il jihadismo: la Forza mista multinazionale che opera nella regione del Lago Ciad e di cui fanno parte anche la Nigeria e il Camerun. E il G5-Sahel costituito anche da Mali, Burkina Faso e Mauritania. Tutti Paesi presi di mira da gruppi jihadisti come al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), Boko Haram, e il Gruppo di supporto all’islam e ai musulmani ( Jnim). Uno scenario pericoloso che, oltre ai francesi, ha spinto i militari statunitensi ad intervenire. Lo stesso doveva accadere a inizio anno con i soldati italiani, ma la nostra missione militare non è mai veramente partita. «L’ala filo-francese del governo nigerino non ha permesso all’Italia di spedire i suoi militari», afferma sotto anonimato un diplomatico occidentale non autorizzato a parlare. Da Roma sono però arrivate sempre smentite.
Diventato indipendente dalla Francia nel 1960, il Niger ha sempre avuto una storia turbolenta. Parigi considera però tuttora il Paese come il suo “giardino di casa”. I francesi hanno i loro diplomatici che lavorano in vari ministeri del governo locale, centinaia di militari e uomini d’affari che operano nel settore privato. Tra gli interessi economici più importanti per l’Eliseo c’è l’uranio, di cui il Niger è tra i più grandi produttori al mondo. La società Orano (ex Areva) è presente nel Paese dagli anni Cinquanta per rifornire le centrali nucleari francesi. Negli ultimi dieci anni, però, il Niger ha attratto un forte interesse da parte della Cina, anche lei affamata di uranio, oro e petrolio.
Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 19 settembre 2018 © RIPRODUZIONE RISERVATA