Camerun nel caos: abusi e violenze a due settimane dal voto
LOMÉ, Togo - «Sto scappando da qui, puoi pubblicare ». Il via libera arriva con un email da un villaggio nell’area di Bamenda, capoluogo della regione anglofona del nord-ovest in Camerun. È qui che fino a venerdì scorso ha vissuto John (nome di fantasia), prima di fuggire per aver rivelato informazioni sensibili sui massacri in corso nell’area. Come nella regione del sud-ovest, in molte località del nordovest si sta consumando uno dei conflitti civili più silenziosi dell’Africa.
«La situazione è molto triste », scrive ad Avvenire John, in viaggio verso una zona più sicura del Paese. «Hanno ammazzato un mio collega e ho visto almeno 55 cadaveri di soldati, civili e miliziani in soli due giorni. Purtroppo – continua la fonte – il governo camerunese non vuole che si sappia ciò che sta succedendo nel Camerun anglofono. Anche all’Onu non è permesso parlare ». Le violenze nelle due regioni occidentali del Paese, vicino al confine con la Nige- ria, vanno avanti da oltre due anni. Il conflitto si sta però intensificando in questi giorni con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali previste per il 7 ottobre.
Paul Biya, 85 anni, al potere dal 1982, ha intenzione di ricandidarsi. Sarà comunque difficile tenere le elezioni nelle province anglofone, teatro di uccisioni e torture sia da parte dell’esercito che delle milizie. «Gli abusi tra gruppi armati e contro la popolazione civile inerme sono commessi da entrambe le fazioni, governo e ribelli – spiega ad Avvenire Ilaria Allegrozzi, ricercatrice presso Amnesty International –. Per nessuno dei casi che abbiamo documentato è stata aperta un’inchiesta poiché c’è un’impunità endemica».
Una seconda fonte nella provincia di Bamenda è stata costretta a scappare in esilio nella vicina Nigeria. La regione anglofona, chiamata dai separatisti anche con il nome di Ambazonia, è una delle zone più ricche di risorse naturali in Camerun. La sua popolazione rappresenta un quinto dei 23 milioni di camerunesi. Circa il 60 per cento del Pil nazionale proviene dall’area anglofona. Il governo francofono è accusato da decenni di depredare dal territorio anglofono petrolio, legname, prodotti agricoli e molto altro, senza condividerne i profitti. Il rapporto tra la capitale camerunese, Yaoundé, e la parte anglofona è teso fin dall’indipendenza del Paese dalla Francia nel 1960. Nell’ottobre del 2016, però, è scoppiata una serie di proteste da parte di avvocati e insegnanti nelle città di Buea e Bamenda. Gran parte dei manifestanti che si sentivano emarginati a livello politico, sociale e economico, volevano la separazione.
Da allora, sebbene non si abbiano cifre precise, si stima che siano oltre 400 i morti tra civili, forze di sicurezza e gruppi armati. Centinaia di abitazioni sono state distrutte e interi villaggio si sono svuotati. «Questa crisi rende molto più complicato il sostegno delle associazioni di volontariato sul campo – sottolinea Olivia Faldini, volontaria regolare in Camerun da oltre dieci anni con la Orthopaedics onlus, che opera nel Centro medico di Santa Teresa gestito dalle suore francescane di Bressanone –. L’ospedale accoglie tutti senza distinzione etnica o linguistica, ed è la prima volta che non è stato possibile effettuare una delle nostre missioni a Bafut». Nonostante qualche dichiarazione proveniente dal governo che alludeva a un possibile dialogo con i ribelli, il presidente Biya non sembra per ora avere alcuna intenzione di negoziare.
Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 25 settembre 2018 © RIPRODUZIONE RISERVATA