La droga del Corno d'Africa ora vola anche in Occidente
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per Avvenire
Il khat si mastica in gruppo per sopportare la fatica, ma induce inerzia e distrugge le famiglie
DA NAIROBI - «Chïunque l’esca dilettosa e nuova gustato avea, con le novelle indietro non bramava tornar: colà bramava starsi, e, mangiando del soave loto, la contrada natìa sbandir dal petto». Non sono pochi coloro che ipotizzano un legame tra il 'loto' del libro IX dell’Odissea e la pianta che oggi viene coltivata, commercializzata e masticata dalle popolazioni dell’Africa Orientale, del Corno d’Africa e dello Yemen.
Conosciuta come qat , gat, jaad, chat e miraa , la pianta è più comunemente chiamata khat. Ma come mai un’erba dal colore verdastro e dal sapore acidulo, apparentemente innocua, non smette di provocare, a livello politico, sociale e scientifico, allarmi, dibattiti e controversie in molti Paesi? Per via dei suoi effetti allucinogeni, il khat è stato più volte paragonato all’amfetamina. Sebbene le sue proprietà siano giudicate più leggere, un uso continuato, protratto negli anni, può provocarne gli stessi danni al cervello. Le società in cui il khat viene masticato subiscono un rallentamento nel loro sviluppo: giovani e vecchi, ricchi e poveri, sembrano assuefarsi fisicamente e psicologicamente agli effetti della pianta, annullando gli stimoli esterni. Ma non è l’unica conseguenza negativa. I membri della polizia e dell’esercito, ad esempio, diventano estremamente nervosi (e pericolosi) quando prestano servizio sotto effetto del khat che, spesso, cominciano a masticare fin dalla mattina. Inoltre, sono molti gli emigrati provenienti da Paesi africani e arabi residenti in Europa che fanno uso della droga e che sono noti per la passività con cui affrontano la loro vita quotidiana. Una volta sostenuto dai sussidi dello Stato che lo ospita, chi fa uso di khat considera il lavoro un’opzione secondaria.
Si racconta che l’'erba' sia stata scoperta in Etiopia da un gruppo di pastori, i quali aveva notato uno strano comportamento euforico nelle proprie capre che si erano cibate della pianta. Dagli altopiani etiopici, la sua coltivazione si sarebbe poi estesa verso l’Africa Orientale e lo Yemen. Sir Richard Francis Burton spiega nel suo libro I primi passi nell’Africa Orientale che il khat fu introdotto nello Yemen dall’Etiopia nel XV secolo. Altri, come il botanico Raman Revri, sostengono invece che la coltivazione sia partita dallo Yemen facendo il percorso inverso, fino a raggiungere anche l’Africa meridionale. La prima documentazione medica del khat risale all’antichità, poiché gli egizi lo consideravano un «cibo divino» attra- verso il quale «raggiungere l’apoteosi». La lista di teorie sulle origini della pianta è piuttosto lunga, ma una cosa è certa: così come i compagni di Ulisse, una volta sbarcati sulla terra dei Lotofagi, rimasero «estinti della fame i desiri e della sete», al khat sono attribuiti gli stessi effetti stimolanti.
«La miraa crea un legame sociale e ci tiene fuori dal crimine e dall’abuso di altre droga», dicono i residenti di Garissa, cittadina con una forte presenza somala nel Kenya orientale mentre, durante una delle loro lunghe sessioni, si riempiono una guancia con le foglie di khat e cominciano a masticare. Il ministro dello Yemen per l’Acqua e l’Ambiente, Abdulrahman al-Eryani, afferma che provare a togliere ai propri concittadini l’'erba' sarebbe come cercare di sconfiggere completamente il vizio delle sigarette in Occidente. Sono però molte le donne che incolpano il khat di essere la causa della pigrizia dimostrata dai loro mariti e del disfacimento dei nuclei familiari. «Il continuo masticare fa perdere la voglia di vivere e lavorare», protestano molti.
Come qualsiasi droga che incontri i meccanismi di mercato, quando la domanda di khat cresce, compaiono persone disposte a escogitare qualsiasi modo per soddisfarla guadagnandoci. Mentre lo Yemen ha una commercializzazione soprattutto locale, l’Etiopia e il Kenya sono le maggiori nazioni esportatrici. Dalle piantagioni di Meru, situate lungo i verdi pendii del Monte Kenya, gruppi di trafficanti (alcuni legati ai clan mafiosi della zona) fanno quotidianamente sfrecciare decine di camion che, provocando spesso fatali incidenti stradali, raggiungono i due aeroporti principali del Paese.
In Kenya la pianta, conosciuta come miraa, tende a essere consumata quando è fresca: 48 ore dopo la raccolta, infatti, le sostanze chimiche contenute nel khat cominciano a perdere le loro capacità psicotrope, per le quali l’erba è richiesta. Ogni giorno partono così i voli diretti verso Somalia, altre zone dell’Africa e le comunità somale, etiopi e yemenite di Londra e Amsterdam. I guadagni sono esorbitanti.
L’industria della miraa, legale dal 1977, produce in Kenya un profitto annuo tra i 150 e i 250 milioni di dollari e dà vita a un giro di affari che viene dopo quello del tè e delle rose, ma che supera quello del caffè. In Etiopia, nel 2007, sono state esportate più di 22mila tonnellate di khat, per un valore di 108 milioni di dollari e la pianta occupa il settimo posto, dopo il caffè e altri prodotti dell’orticoltura, nella graduatoria dei beni più redditizi.
Bandito negli Stati Uniti (dal 1993) e in Svezia, dove sono presenti due tra le maggiori comunità somale, ma legale in Gran Bretagna, Olanda e Australia, il khat è ancora oggi oggetto di un’accesa disputa. «L’evidenza scientifica [sui danni provocati alla salute] è molto controversa se la compariamo a quella relativa ad altre sostanze», spiega David Anderson, professore di Studi africani a Oxford e autore del libro The Qat Controversy, «per questo è molto difficile per gli Stati giustificarne un divieto».
UN EUFORIZZANTE CHE MINA IL FISICO
Il khat proviene dalla pianta «Catha edulis», un arboscello cespuglioso che può crescere fino all’altezza di sei metri. Le foglie contengono catinone, che produce un effetto euforico simile all’amfetamina, ma più leggero; il secondo elemento chimico è la catina, una sostanza molto meno stimolante, ma con un’azione più lunga rispetto al catinone.
L’Organizzazione mondiale della sanità lo ha classificato come droga. I problemi di salute che possono occorrere da un uso prolungato sono: deterioramento della dentatura, insonnia, allucinazioni, impotenza, psicosi, ulcere, depressione. La pianta cresce sulle colline del Kenya e dell’Etiopia e viene esportata in altri Paesi africani, medio orientali e occidentali. Chi mastica il khat parla positivamente della pianta nel consumo a piccole dosi. La sua azione aiuta a stare svegli, a concentrarsi, a non sentire fame, sete, fatica e a far sentire i consumatori a proprio agio con gli altri, accrescendo l’abilità di immaginare e associare le idee. Ma ben presto subentrano gli effetti negativi sull’umore: rabbia, tensione e ansia. Poi le conseguenze fisiche.(M.F.K.)
rinunciare al khat.
Una rivolta di piazza contro il divieto
all’alba alle prime ore del pomeriggio, due o tre piccoli velivoli partono dall’aeroporto Wilson di Nairobi per la capitale somala Mogadiscio e altre città della Somalia centrale e meridionale come Kisimayo, Galcaaio, Beletweyn. Trasportano ognuno almeno una tonnellata di khat, divisa in alcune centinaia di sacchi. Per via dell’assenza di un vero governo in Somalia, i commercianti che in genere risiedono in Kenya, nel quartiere somalo di Eastleigh, stringono accordi con i Signori della guerra per essere sicuri che la merce arrivi. Il commercio di khat non si è mai fermato, neppure con la guerra civile che infuria dal 1991. Ora i controlli aeroportuali sono un po’ più serrati, ma fino a qualche anno fa gli aeroplani che atterravano quotidianamente sulla pista K50, poco fuori Mogadiscio, erano ben quindici. Ma da quando vi è stato un falso allarme terroristico nel 2003, i trafficanti hanno dovuto ridurre la loro attività ed è stato proibito ai piloti di portare passeggeri nel viaggio di ritorno, poiché molti di essi erano rifugiati che, arrivati in Kenya, lasciavano lo scalo eludendo la dogana. Le Corti Islamiche provarono a bandire il consumo di khat, ma la popolazione somala insorse, minacciando di ribellarsi persino al più estremista dei gruppi musulmani, gli Shabaab. Nelle proteste del 2006 morirono tre persone. I somali sembrano affrontare con stoica determinazione qualsiasi crisi politica, sociale, e umanitaria, ma senza (M.F.K.)
«Rito sociale, che va regolamentato»
l’intervista
Kevin Rushby ha studiato gli usi dello Yemen e provato l’«erba»: bisognerebbe tassare la vendita per ridurre il consumo procapite
DA NAIROBI
l britannico Kevin Rushby è giornalista e autore di libri sull’Africa e il Medio Oriente.
Quale impatto ha il khat sulla società yemenita?
Enorme. E crea problemi anche per il notevole ammontare di acqua che serve alla coltivazione. Oltre, ovviamente, ai danni alla salute di alcune persone. In quanto al prodotto commerciale in sé, ha probabilmente salvato il settore rurale dal disastro economico durante gli anni Ottanta.
Il khat costituisce una risorsa o una perdita per il Paese?
Per la maggior parte della popolazione penso che rappresenti una perdita economica. Le sessioni quotidiane non giovano alla maggioranza degli abitanti per via dei costi. Ma se masticato una o due volta alla settimana, il khat può dare anche benefici, in termini di legami sociali e soddisfazione personale.
Come si svolge il ' rito' sociale della masticazione collettiva?
La maggioranza delle sessioni comincia alle 3 del pomeriggio e finisce verso le 7-8 di sera. Durante gran parte dell’anno, nel primo pomeriggio fa molto caldo e, quindi, si svolgono poche attività lavorative.
Se ne discute ancora molto, ma lei considera il khat una droga?
Il khat ha effetti sulla nostra psiche e sul nostro corpo, dunque è certamente una droga. Sebbene possa dare una dipendenza psicologica, non ne dà però una fisica.
Immagino che durante i suoi anni in Yemen abbia provato il khat. Quale tipo di effetti ha avuto su di lei?
Ho masticato khat molto spesso. Per me è stato un mezzo per entrare a far parte della società yemenita e stringere amicizie. Ma con il passare degli anni gli effetti che mi dava si facevano sempre più fastidiosi: l’insonnia, in particolare, era diventata un disturbo cronico.
Quali sono i provvedimenti che la società yemenita dovrebbe adottare rispetto a questo fenomeno?
Lo Yemen dovrebbe bilanciare un po’ il suo approccio. Al momento è in corso una discussione sulla possibilità di introdurre il divieto di vendita del khat. Una buona idea potrebbe essere quella di tassarlo efficacemente e provare a limitarne l’uso. Qualche giorno senza khat sarebbero un beneficio per gli yemeniti.
Matteo Fraschini Koffi
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