Matteo Fraschini Koffi ai giovani africani: “Siate parte del cambiamento… in Africa”
19 Maggio 2016
Matteo Fraschini Koffi ai giovani africani: “Siate parte del cambiamento… in Africa”
Prosper Nkenfack | 17 May 2016
Matteo Fraschini Koffi è un giornalista freelance italiano d’origine togolese. Da diversi anni viaggia in tutto il Continente per vivere da vicino quella che è la realtà quotidiana delle popolazioni (le bellezze e le miserie). Suoi articoli e reportage sono pubblicati su testate europee come Avvenire, Nigrizia, Vanity Fair e la RSI (Radio della Svizzera Italiana). Lo scorso anno Matteo ha vissuto per due settimane nel “ghetto” di Rignano in Puglia per realizzare un’inchiesta sullo sfruttamento della mano d’opera africana nei campi di pomodoro. Da questo lavoro è nato un libro intitolato “Campo d’oro rosso” (Ed. Gruppo Solidarietà Africa, Seregno), vincitore del premio Premiolino. L’autore ha raccontato alla redazione di Afriknow il suo lavoro e la sua visione del continente africano.
Partiamo dalle belle notizie: nelle scorse settimane hai ricevuto il Premiolino, un riconoscimento per il tuo lavoro giornalistico ricevuto al fianco di grandi nomi del giornalismo italiano. Un ritorno da “vincente” dopo la decisione – non facile né probabilmente scontata – di fare il salto da Milano all’Africa. La tua è stata una scommessa vinta?
“Time will tell!”, il tempo lo dirà, per ora penso di sì, una scommessa vinta, volevo infatti dimostrare a me stesso che nonostante tutti gli ostacoli legati alla mia professione, ce la potevo fare a vivere in Africa come giornalista. Paradossalmente, però, dopo oltre 10 anni di giornalismo proprio in Africa, sono stato premiato per qualcosa che ho fatto in Italia. Una cosa è certa, senza la mia esperienza nel “continente nero”, non sarei mai riuscito a guadagnarmi l’esperienza in Puglia.
Il premio è legato alle inchieste condotte sul caporalato in Puglia ed in particolare a Rignano da cui è nato anche un libro. Per realizzarlo hai vissuto per due settimane nel ghetto con i braccianti. Cosa ti rimane di quell’esperienza?
Tutto è veramente connesso. È un mondo sempre più piccolo, lo dimostra il ghetto di Rignano dove mi sono infiltrato in un’ “Africa in miniatura”. Ho trovato quindi particolarmente interessante esplorare le dinamiche non solo del ghetto, ma dell’intera filiera che parte dall’anello più debole, i braccianti, fino a quello più forte, le catene di distribuzione, passando attraverso caporalato, agricoltori, camionisti, mercato locale e internazionale del pomodoro (l’Italia è il terzo Paese al mondo per produzione ed esportazione di pomodori), autorità, politici, e molti altri aspetti della “filiera” legata al mercato internazionale del pomodoro.
Come pensi sia possibile che, nonostante inchieste come la tua, certe situazioni continuino ad esistere nell’Italia del 2016?
Il lettore o radio-ascoltatore e telespettatore deve alzarsi, cambiare il suo comportamento e forzare la politica a rivoluzionare le cose, ci vogliono però inchieste numerose e regolari che affrontino il problema del caporalato e della “moderna schiavitù” nei campi di pomodoro (come di altri prodotti alimentari). Sono contento che sempre più giornalisti, italiani e stranieri, si stiano occupando di questa problematica.
Credi che la comunità africana nel nostro Paese debba fare di più per mostrare solidarietà nei confronti di questi fratelli e denunciare quanto succede?
Sì, non dobbiamo limitarci a leggere e condividere articoli sui social network, dobbiamo invece organizzare proteste, conferenze, dibattiti, incontrare le vittime di questo micidiale mercato, e esortare i politici che ci rappresentano, in Italia come in Europa e in Africa, a trovare una soluzione. È un processo molto lungo ed elaborato, e che richiede attenzione e determinazione costanti.
Spesso, quando si guarda all’Africa, si resta colpiti dai paradossi: povertà e situazioni di crisi (anche recenti, basti pensare all’instabilità nel Sahel) si affiancano a notizie di innovazioni e crescita economica e culturale, in una battaglia mai finita tra afrottimisti e afropessimisti. Dove sta il punto di equilibrio?
Secondo me sta nel capire i diversi aspetti di una qualsiasi realtà per diventare afrorealisti. Trovo necessario avere la curiosità di analizzare tutti i colori di ciò che una persona si trova davanti, escludendo la parola “semplice” dal nostro vocabolario. La realtà, anche quando ci sembra limitata, è molto, molto complessa.
Quali consigli daresti ad un giovane italiano di origina africana o ad un africano che ha vissuto per lungo tempo in Italia, che sta pensando di tornare nel Continente?
Torna e sii parte del cambiamento!
E ad uno dei tanti giovani africani che si mettono in viaggio verso l’Europa?
Resta in Africa e sii parte del cambiamento!