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Il «paradiso» dei pirati è nel Golfo di Guinea

14 Luglio 2013

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per Avvenire

Cambia lo scenario: le coste occidentali sono diventate più pericolose della Somalia

DA LOMÉ MATTEO FRASCHINI KOFFI - E' notte fonda. Una lunga fila di navi illuminate, almeno 30, galleggia a qualche chilometro dalla spiaggia di Lomé. Alcune attendono il mattino per entrare nel porto togolese, altre sono dirette poco più in là, verso il Benin e la Nigeria. «Nessuna di quelle imbarcazioni osa fare un miglio in più», sostiene con un sorriso Kodjo, uno dei tanti pescatori locali. «Le acque togolesi sono ancora considerate tra le più sicure del Golfo di Guinea». Questo tratto di mare che comprende una decina di Paesi ha infatti superato il livello di pe­ricolosità del Corno d’Africa. I pirati dell’Africa occidentale, soprattutto nigeriani e camerunesi, sono più pe­ricolosi di quelli somali. Sebbene siano state 43 le imbarcazioni prese di mira nel 2012, alcuni affermano che gli attacchi sono quotidiani. Pistole, kalashnikov, lanciarazzi: un arsenale sempre più sofisticato che i “criminali dell’oceano” usano per intimorire l’equipaggio e saccheggiarlo.

 

I marinai che si avventurano in queste acque sono così spaventati che la maggior parte non comunica neanche alle famiglie in quale parte del continente navigherà. Usano armi pesanti: i proiettili riescono a sfondare le porte di metallo degli appositi nascondigli di sicurezza. Secondo il recente rapporto dell’International Maritime Bureau (Imb) e dell’Ocean Beyond Piracy (Obp), intitolato “Il costo umano della pirateria marittima nel 2012”, almeno «966 membri di equipaggi sono stati attaccati dai pirati dell’Africa occidentale. Di questi – continua il rapporto – 206 sono stati rapiti per una media di 4 giorni». Al contrario dei pirati che infestano le acque del Corno d’Africa e che hanno attaccato 851 marinai l’anno scorso, quelli del Golfo di Guinea non perdono tempo a organizzare sequestri: non puntano su una nave precisa, non aspettano per mesi il riscatto.

Sarebbe tutto troppo complicato. I marinai sono quindi vittime di pestaggi, finte esecuzioni, umiliazioni e colpi d’arma da fuoco, se tentano di fuggire. Sono rare le morti, ma molti i feriti. I pirati rubano tutto a bordo: non solo il carico, principalmente petrolio, ma anche soldi, gioielli, orologi, telefoni satellitari, cellulari e utensili. Se non sono soddisfatti del bottino, sequestrano l’intera nave e la utilizzano per attaccarne altre che gli passano accanto. Basta aspettare qualche minuto. Circa 33mila imbarcazioni transitano in questo inferno e, una volta prese d’assalto, difficilmente riescono a fuggire. «Quando parliamo del Golfo di Guinea, le assicurazioni esigono che ci siano delle guardie a bordo – spiega il rapporto, citando le interviste fatte a marinai e armatori – ma ogni Stato ammette solo guardie della propria nazionalità». Diversi membri dell’equipaggio si sono lamentati della totale mancanza d’efficienza del personale africano addetto alla sicurezza. I pirati di questa zona sono così violenti e armati che in molti casi, appena avviene l’avvistamento, le guardie si nascondono. Una reazione drammatica, soÈ prattutto se si considera che il costo per imbarcare la scorta – ogni volta che la nave cambia Paese – è di circa 8.400 dollari, mentre il prezzo quotidiano è di 5mila dollari. Al contrario di ciò che succede in Africa orientale, qui, per legge, non è possibile ingaggiare personale armato straniero. Solo “consiglieri della sicurezza”, soprattutto inglesi, pagati per dare consulenze, ma disarmati. In questo contesto complicato e terrificante, c’è un fattore che aggrava il fenomeno della pirateria nel Golfo guineano.

«Ho visto alcuni documenti che fanno supporre come alcune compagnie finanzino la pirateria per ostacolare i concorrenti», affermano (sotto anonimato) due fonti della regione. Sembra infatti che, nelle acque togolesi, beninesi e nigeriane, ci sia uno scontro tra società che sfruttano i pirati per attaccare i propri rivali coinvolti nei grandi mercati del petrolio, dei prodotti alimentari o delle materie prime. La piaga della pirateria in Africa occidentale è fomentata dalla continua impunità nei confronti dei responsabili. «Mentre in Africa orientale ci sono state decine di processi contro i pirati somali – afferma lo studio dell’Imb – in Africa occidentale nessuno è mai stato portato in tribunale». Lo stesso equipaggio, calcolando i costi che dovrebbero affrontare nelle stazioni di polizia, evita di fare rapporto alle autorità quando viene attaccato. Alcuni Paesi stranieri come Francia, Stati Uniti, Germania, Israele e Cina hanno finanziato dei progetti e donato qualche imbarcazione per pattugliare le acque, ma dalla Guinea Bissau alla Guinea Equatoriale la pirateria è in aumento. Lo scorso giungo, in seguito al grave aumento degli attacchi dei pirati nel 2012, diversi Stati africani hanno formato un centro di coordinamento regionale basato a Yaoundé, in Camerun. Sanno già che nel 2013 le cifre sono destinate a raddoppiare.

«Il bilancio del 2013 sarà ancora peggiore»

DA LOME' - « I l nostro studio si basava su cifre del 2012, ma secondo le nuove previsioni la situazione nel Golfo di Guinea peggiorerà ulteriormente nel 2013». Kaija Hurlburt non ha dubbi. La ricercatrice del rapporto dell’Imb (International Maritime Bureau) sottolinea, invece, che il livello di attacchi nel Corno d’Africa rimarrà basso grazie alla protezione fornita dalle navi militari e dalle guardie private a bordo delle imbarcazioni.Dopo oltre vent’anni di guerra civile prima dell’indipendenza del Sud Sudan, il Jonglei, ricchissimo di petrolio, sarebbe pronto per essere “sfruttato”. Ma gli interessi nella regione sono altissimi e le dinamiche molto complicate.

Sembra non ci sia la stessa attenzione nei confonti della pirateria in Africa occidentale rispetto all’Africa orientale: cosa ne pensa?

Ci sono numerose differenze tra le due coste. Innanzitutto i pirati del Corno d’Africa attaccano con l’intenzione di sequestrare navi ed equipaggio per mesi o addirittura anni, fino al pagamento di un riscatto. Nel Golfo di Guinea gli attacchi si concentrano sulle imbarcazioni cargo, soprattutto quelle che trasportano derivati del petrolio raffinato, importato nella regione. Questo tipo di sequestro dura solo qualche giorno e non desta particolare attenzione. Un altro fattore di differenza riguarda il contesto: in Africa orientale il commercio marittimo è globale, mentre sulla costa occidentale il traffico è soprattutto di tipo regionale. Infine, la Somalia è in uno stato d’anarchia da anni, mentre in Africa occidentale ci sono Paesi che hanno governi che funzionano: dovrebbero affrontare loro stessi il fenomeno.

Nella ricerca che avete realizzato per il vostro rapporto avete mai riscontrato esempi in cui i marinai non concordavano con gli armatori o i capitani rispetto alla gestione della sicurezza?

Lo studio condotto dall’Imb dimostra che i marinai si sentono molto più sicuri quando viene applicato il decalogo delle regole sulla gestione della sicurezza, che suggerisce l’uso della scorta armata. Nelle nostre interviste alcuni membri dell’equipaggio hanno menzionato la possibilità di rifiutare il passaggio nelle acque di questa regione, dove gli attacchi dei pirati sono un rischio serio. Hanno anche parlato della possibilità di lasciare la nave, senza preoccuparsi di essere puniti.

Durante le vostre interviste non avete mai sentito parlare di società che finanziano gli attacchi dei pirati per colpire le imbarcazioni delle compagnie rivali?

Non ne siamo a conoscenza, ma sappiamo che c’è un rigoglioso mercato nero nella regione. In tanti sono pronti a comprare qualsiasi tipo di prodotto petrolifero illegale.

Dallo studio emerge chiaramente che la pirateria in Africa occidentale rimane impunita. Come risolvere questo problema?

Molti incidenti non vengono denunciati. Ma le varie procure devono ricevere le rispettive denunce prima di condurre indagini che possano sfociare in arresti e processi. È quindi molto importante che si crei un sistema di denuncia contro la pirateria, del quale i governi e gli armatori si possano fidare. Una gestione del genere, però, dovrà tener conto delle necessità degli armatori, che non possono permettersi di ritardare troppo le loro attività commerciali. Altrimenti nessuno vorrà perdere tempo per fare rapporto alle autorità.

IL PUNTO PIÙ CALDO

La «petro-pirateria» in Nigeria: ogni raid frutta un bottino di 20mila metri cubi di greggio

DA LOME' - Con almeno 204 attacchi di pirateria tra il 2006 e il 2012, le acque della Nigeria sono le più pericolose da navigare nel Golfo di Guinea. «I pirati nigeriani sono numerosi e molto violenti nelle loro operazioni», affermano le inchieste della stampa locale: «Molti di essi infatti sono ex militanti che da ribelli ora si sono dati alle ruberie di petrolio nelle acque del Golfo di Guinea». Al largo della costa nigeriana i pirati attaccano qualsiasi tipo di imbarcazione, ma essendo la Nigeria il primo produttore di petrolio in Africa, l’oro nero, raffinato o no, è il loro obiettivo principale. «Ad ogni attacco, la “petro-pirateria” mette le mani su carichi tra i 10 e i 20mila metri cubi di greggio», stima il settimanale africano “Jeune Afrique”. Il Paese sta tentando di arginare il problema attraverso una logistica più aggressiva delle proprie forze di sicurezza militare e marittima: in sostanza la rapidità di reazione è l’unica risposta valida in questi casi. L’anno scorso, le autorità nigeriane hanno firmato un contratto di 23,5 miliondi di dollari per due grosse imbarcazioni da pattugliamento e il budget per la Difesa è stato aumentato di altri 13,7 milioni di dollari per acquistare nuove imbarcazioni. L’Agenzia per la sicurezza ha presentato lo scorso marzo una bozza di legge per la “pirateria e altri atti illegali in mare”. Ma l’unico esempio di lotta contro il fenomeno (in una realtà in cui la corruzione è diffusissima sia a livello di autorità amministrative e sia politiche) riguarda una temporanea detenzione di 11 individui sospettati di essere pirati.

GLI AGGUATI NELL’OVEST: Un danno da 900 milioni di dollari all’economia

La pirateria nel Golfo di Guinea è costata circa 900 milioni di dollari nel 2012. L’83% degli attacchi a mare finisce con l’abbordaggio della nave. Per ogni attacco che mira alle imbarcazioni che trasportano prodotti di petrolio raffinato, i pirati sottraggono merce per un valore tra i 2 e 6 milioni di dollari, ma a volte le cifre raggiungono i 10 milioni. Il valore di prodotti petroliferi sequestrati è tra i 14 e 42 milioni di dollari. Invece, 373 membri dell’equipaggio sono stati derubati di contanti e affetti personali. I saccheggi ammontano a 10-15mila dollari per ogni aggressione. L’Imb ha registrato in totale 35 “incidenti” nel 2012 per un valore di circa 525mila dollari. Il costo delle guardie di sicurezza private è stato di circa 150 milioni di dollari l’anno scorso, ma tale cifra è sicuramente sottostimata. Lo stesso ammontare di denaro è stato pagato per la sicurezza militare. Circa il 70% dei marinai a livello mondiale ha diritto a un aumento di salario in relazione alla pericolosità delle regioni marine navigate. Il costo di tale aumento è di 10mila dollari la settimana per imbarcazione. Il denaro speso invece per le assicurazioni copre il 51% dei costi diretti causati dalla pirateria. Infine un dato statistico riguarda anche i 966 marinai attaccati l’anno scorso: del 36% si ignora la nazionalità, mentre il 25% erano filippini, il 9% provenivano dall’India, il 7% dalla Russia, il 5% dalla Nigeria, un altro 5% dalla Cina, il 3% dall’Ucraina, e il 10% erano di altre nazionalità. ( M.F.K.)

 

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