Congo, gli appelli della Chiesa E padre Robert torna libero
Libero. L’ennesimo rapimento di un religioso nella Repubblica democratica del Congo (Rdc) si è fortunatamente concluso nel giro di 48 ore . Nella serata di ieri è giunta notizia del rilascio di padre Robert Masinda, sequestrato lunedì scorso, insieme a un suo collaboratore, presso la diocesi di Butembo-Beni, nella regione del Nord Kivu. Della liberazione si hanno pochi dettagli. È probabile, comunque, che ad agire siano stati criminali comuni. A favore del rilascio del religioso – che ha vissuto anche in Sicilia per quattro anni – , era stato lanciato ieri un forte appello dalla Conferenza episcopale italiana. I vescovi rilevavano che il sequestro era «sintomatico del malessere che da molto tempo attanaglia la Repubblica democratica del Congo». «Si tratta del sesto sacerdote rapito dal 2012, insieme a religiose e laici, in un contesto, quello del Kivu settentrionale, dove la stremata popolazione civile è sottoposta, quotidianamente, ad ogni genere di vessazioni da parte di innumerevoli formazioni armate», è stato sottolineato nel comunicato della Cei. I vescovi italiani hanno anche posto all’attenzione «la delicatissima situazione politica nazionale, segnata dalla repressione nei confronti di quei cattolici che, lo scorso 31 dicembre, hanno protestato, e continuano a farlo pacificamente, nei confronti di coloro che nel Paese africano impediscono lo svolgimento delle elezioni».
Il Papa ha voluto ricordare le settimane di violenze contro religiosi e cittadini cattolici laici in gran parte del territorio congolese. «Rinnovo il mio appello affinché tutti si impegnino ad evitare ogni forma di violenza – ha detto Francesco a conclusione dell’Udienza generale di ieri –. La Chiesa non vuole altro che contribuire alla pace e al bene comune della società».
Da quando migliaia di persone hanno iniziato a protestare nelle scorse settimane contro il presidente congolese, Joseph Kabila, sono state almeno 14 le vittime, decine i feriti e centinaia gli arresti. Le autorità hanno infatti usato il pugno di ferro per sedare tutte le manifestazioni di piazza che, organizzate principalmente da associazioni laiche, esigono le dimissioni del capo di Stato e l’avvio del tanto atteso processo elettorale. La data delle prossime elezioni è prevista per il 23 dicembre. I dubbi rispetto a tale evento, posticipato più volte nell’ultimo anno, continuano però ad aumentare. Dalla salita al potere nel 2001, Kabila è accusato di ignorare le sofferenze del suo popolo e sfruttare le preziose risorse naturali per se stesso, i suoi familiari e i fedelissimi. «La famiglia Kabila ha interessi in oltre 80 società di vario tipo sia in Congo che all’estero», affermano le stime del Gruppo di ricerca sul Congo, un’organizzazione statunitense basata all’Università di New York. Grande quanto l’Europa occidentale, abitato da circa 83 milioni di persone e dotato di immense risorse, l’indice di sviluppo delle Nazioni Unite classificava il Congo nel 2015 al 176esimo posto su 187 Stati. L’economia locale è minacciata da una corruzione endemica, soprattutto nella sfera politica che causa, specialmente nell’Est, conflittidecennali. Secondo l’organizzazione Transperency international, «il Congo si posiziona al 156esimo posto su 176 Paesi nel mondo».
L’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur) ha invece espresso forti preoccupazioni per il numero di sfollati congolesi che dal 2015 è raddoppiato: «Almeno 3,9 milioni di persone hanno dovuto lasciare le loro case in seguito ai conflitti – ha recentemente dichiarato l’Acnur –, mentre circa 100mila civili sono fuggiti negli Stati limitrofi». Nella regione centrale del Kasai, dove nel 2016 è scoppiata una brutale ribellione contro le autorità locali, si è registrato invece «il 40 per cento dei 7,7 milioni di persone severamente colpite da insicurezza alimentare» in tutto il Congo.
Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 25 gennaio 2018 © RIPRODUZIONE RISERVATA