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Bashir segna con il sangue i suoi trent’anni di dittatura

19 Gennaio 2019

Lomé ( Togo) - Siamo davanti a un imminente cambio di potere in Sudan? Una domanda più che legittima a causa delle continue violenze nel Paese. E che circola, con sempre più insistenza, negli ambienti diplomatici. Ieri notte è morta un’altra persona , “colpevole” di protestare contro il governo di Omar Hassan el-Bashir, portando a tre il totale delle vittime delle cariche di polizia di giovedì a Khartum. Le autorità locali parlano di 24 morti in cinque settimane. Secondo le organizzazioni per i diritti umani, però, sono «decine le vittime».

Nell’anno del trentesimo anniversario del colpo di Stato di el-Bashir (giugno 1989), il Sudan sta vivendo un periodo di sangue e guerriglia per le strade di diverse città, non solo nella capitale, Khartum. Le dimostrazioni hanno infuocato le piazze e spinto le autorità a reagire in maniera sempre più brutale. Persino i funerali delle vittime sono diventati un’occasione per la popolazione di esprimere il proprio malcontento. «Circa 5mila partecipanti alla sepoltura di Moawia Othman sono stati attaccati dalla polizia durante la cerimonia – ha affermato ieri la stampa locale –. La gente ha risposto gridando “martire! martire!”, lanciando pietre contro le forze di sicurezza». La cerimonia è stata organizzata a Burri, un quartiere della capitale. Othman era un uomo di 60 anni, ucciso da un colpo di pistola mentre protestava contro l’attuale crisi economica derivata dai 30 anni al potere di el-Bashir.

La politica di austerity imposta dal governo ha aumentato radicalmente i prezzi di pane, benzina e gas per cucinare. «Sono centinaia gli arrestati, tra cui medici, giornalisti, avvocati e leader dell’opposizione – ha riferito l’organizzazione Human rights watch –. Il 7 gennaio il ministero dell’Interno aveva annunciato l’arresto di 816 persone in tutto il territorio». Il Sudan sembra scivolare via dalle mani di el-Bashir, il quale ha anche accusato Israele di interferenza. Il suo governo è sempre stato segnato da alti livelli di corruzione e brutalità. Negli anni Novanta, il leader sudanese aveva ospitato Osama Benladen, un fatto che lo mise da subito in cattiva luce rispetto all’Occidente. I suoi famigerati servizi segreti hanno inoltre contribuito a numerosi arresti di oppositori o dissidenti. Tra i più noti, Hassan al-Tourabi, un tempo grande compagno di lotta di el-Bashir, fino a diventarne un suo acerrimo nemico.

Nel 2003 è invece scoppiato il conflitto civile in Darfur, la regione occidentale completamente marginalizzata da Khartum. Le milizie locali appoggiate dal governo centrale hanno causato la morte di circa 400mila persone, mentre 2,5 milioni di civili sono diventati profughi. Dopo cinque anni di violenze, la Corte penale internazionale, con a capo Louis Moreno Ocampo, ha iniziato a studiare il caso contro el-Bashir, per il quale è stato emesso un mandato d’arresto internazionale il 4 marzo del 2009.

Il leader sudanese è stato però responsabile di massacri anche nel sud del Paese, in quello che dal 2011 è diventato il Sud Sudan. Dopo 21 anni di guerra e due milioni di morti, il Sud Sudan, ricco di petrolio, è riuscito a guadagnarsi l’indipendenza dal Sudan. Le violenze però continuano al confine tra i due Stati. Nonostante gli alti livelli di instabilità di cui Khartoum è stata per decenni l’epicentro, el-Bshir ha promesso che non cederà mai il potere.

Ricercato dalla Cpi gode ancora dell’impunità/

Omar Hassan el-Bashir, per le stragi commesse contro la popolazione del Darfur in corso da quasi 15 anni, è stato accusato di crimini contro l’umanità e crimini di guerra dalla Corte penale internazionale (Cpi). Il primo mandato d’arresto è stato emesso nel marzo del 2009, mentre il secondo nel 2010.

Bashir è considerato responsabile per «uccisioni, stupri, migrazioni forzate, e torture – afferma la Cpi –. Inoltre ha volutamente diretto attacchi contro popolazioni di civili o individui civili che non erano coinvolti nel conflitto». Il mandato di cattura internazionale emesso dalla Cpi gli avrebbe dovuto impedire di viaggiare all’estero, ma non è mai stato eseguito. In questi anni Bashir ha infatti visitato tanto i Paesi firmatari dello statuto di Roma della Cpi, come Sudafrica e Kenya, quanto quelli non firmatari come Eritrea e Siria. Molti Stati africani e del mondo arabo hanno dimostrato il loro sostegno per Bashir.

C’è anche chi ha definito il ruolo della Corte «altamente discriminatorio» perché focalizzato soprattutto sui leader africani, oppure chi ha accolto el-Bashir nel Paese senza procedere al suo arresto. In risposta alle intenzioni della Cpi, il capo di Stato sudanese ha detto che: «Tali accuse non valgono neanche l’inchiostro con cui sono scritte».

Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 19 gennaio 2019 © RIPRODUZIONE RISERVATA