Lupita Nyongo'o, documentarista keniota, affronta le violenze subite dagli albini africani
Lupita Nyongo'o, documentarista keniota, affronta le violenze subite dagli albini africani
per Nigrizia
IL BIANCO DISCRIMINATO - In My Genes affronta le violenze subite dagli albini
NAIROBI, Kenya – Lupita Nyong’o, nata in Messico, cresciuta in Kenya, e laureata negli Stati Uniti (università di Hampshire, nel Massachusetts) non avrebbe mai pensato di raggiungere tanta notorietà a soli ventisei anni grazie alla realizzazione del suo primo documentario di cui è stata al tempo stesso regista, produttrice e ideatrice. In My Genes (“Nei miei geni”), un filmato che affronta le discriminazioni subite dagli albini in Kenya, ha vinto il premio come “miglior documentario” per il ‘Five College Film Festival’, un consorzio universitaro del Massachussetts. È stato inoltre selezionato per il ‘New York African Film Festival’, lo ‘Zanzibar International Film Festival’, il ‘Kenyan Film Festival’ ed è stato proiettato in Messico, Ghana, e Utah. Ma tanti riconoscimenti non l’hanno distratta da quelo che è l’obiettivo principale del suo documentario: spiegare ai suoi connazionali, e al resto del mondo, le situazioni in cui, da troppo tempo, si trovano coinvolti gli albini in una società come quella keniota. “Il progetto è cominciato nell’agosto del 2006, prima che il mondo e la stampa internazionale si accorgessero delle atrocità che venivano commesse in Tanzania,” racconta Lupita. “Devo confessare che la ragione principale che mi ha spinto ad affrontare una storia del genere era la mia ignoranza sull’argomento. CK (pronunciato ‘Si-Che’), un ragazza affetta da albinismo e una delle protagoniste del docmunetario, è stata mia vicina di casa per dieci anni, ma non mi era mai venuto in mente di domandarle come fosse la sua vita o in che modo potesse sentirsi differente da me. Inoltre, sebbene viviamo in una società che ci educa a non discriminare e a non fare troppe domande alle persone diverse da noi, mi accorgevo che, nell’evitare di parlarle della sua condizione, la discriminavo lo stesso.” Dopo aver partecipato alla prima riunione della Albino Society of Kenya (ASK), la mamma di Lupita tornò a casa scioccata da quello che aveva sentito: gli albini erano gli ultimi a essere impiegati e i primi a essere licenziati, non erano considerati abbastanza intelligenti, c’è chi aveva paura dei loro poteri magici, e chi li considerava, a seconda dei casi, portatori di fortuna o sfortuna. Quando raccontò queste cose alla figlia, Lupita si sentì profondamente in imbarazzo per non aver mai parlato con l’amica della sua esperienza. “Appena tornata dagli Stati Uniti, chiamai CK e le parlai della mia idea di fare un documentario sugli albini. Lei ha preso carta e penna e mi ha detto quello che dovevo sapere di base: che gli albini da sempre erano discriminati, che non si sarebbero aperti facilmente e che se avessi voluto documentare la loro vita, non potevo semplicemente filmare la loro storia e andarmene. Quindi, prima e durante le riprese, ho sempre cercato di essere onesta e responsabile. Gli dicevo che non erano costretti a rispondere a tutte le mie domande, ma gli ho anche fatto notare che sebbene fosse mia intenzione rappresentare e raccontare nel miglior modo possibile le loro vite, dovevano anche capire che io ero una studentesa e avrei imparato lavorando insieme a loro.” Durante i circa due anni di riprese, Lupita decise di dire a tutti quelli che incontrava il filmato che stava girando, anche perché voleva raccontare varie storie di persone affette da albinismo. “La prima che ho filmato era quella di James, un insegante albino. L’avevo conosciuto grazie a delle amicizie comuni e un giorno mi comunicò che sua moglie Pamela (non albina) aspettava un bambino. Pensai che sarebbe stato molto interessante documentare quello che lui e sua moglie provavano mentre erano in attesa del loro primo figlio.” Dopo aver avuto il permesso di entrambi i futuri genitori, con molto tatto Lupita è riuscita a intervistarli e a capire come avrebbero reagito se il figlio fosse nato albino. “Sono stati molto gentili, mi hanno accolto subito e sono riuscita a filmare questa bellissima scena. La moglie non era tanto preoccupata, ma James lo era un po’ di più: chiaramente, come qualsiasi genitore, non voleva che suo figlio dovesse affrontare le stesse difficoltà che lui aveva faticosamente superato durante la vita.” Poi c’è la storia di Agnes, una donna cieca di circa cinquant’anni. Cresciuta con un padre violento che, essendo affetta dall’albinismo, l’accusava di una qualsiasi sventura famigliare, Agnes perse addirittura un occhio dopo uno dei vari pestaggi. Con gli anni, un tumore provocato dalla mancanza di cure da parte della famiglia, le provocò anche la perdita dell’altro. Ma Agnes, nonostante la sue condizioni che la vedevano oggetto di prese in giro da parte dei suoi coetani e dei vicini di casa, crebbe, iniziò a guadagnarsi da vivere facendo delle colorate borse di cotone, e mise al mondo otto figli, nessuno affetto da albinismo. C’è la commuovente storia di Alex, un masai albino che racconta anche lui della sua difficile infanzia: “Molti sospettavano che mia mamma avesse tradito mio padre con un occidentale. Nelle tradizioni della comunità masai, quando non si è sicuri delle paternità del figlio, il bambino viene messo fuori dal cancello del recinto in cui si tiene il bestiame. La moglie non ha tradito il marito solo se, una volta aperto il cancello, il bestiame uscendo non calpesta il bambino. Mia mamma ha cercato di proteggermi fin da piccolo, ma non è sempre stato facile. A volte, per esempio, venivo nascosto per giorni in casa perché non mi volevano mostrare al villaggio.” Le violenze subite dagli albini, non solo in Kenya, ma in molti Paesi dell’Africa, sono ormai state copiosamente denunciate dalla stampa internazionale. L’allarme è scoppiato un paio di anni fa in Tanzania dove le autorità hanno trovato vari cadaveri di albini mutilati. In alcune aree dell’Africa Orientale gli stregoni sono stati accusati di fomentare il traffico di albini, le cui parti del corpo come capelli, unghie, organi genitali, e arti, vengono usate per farne dei talismani porta fortuna o delle pozioni magiche. “Per me era molto triste, e ridicolo, sentire delle mutilazioni degli albini. In Africa abbiamo combattuto per uscire da questa immagine di barbari che il mondo ha di noi, ma con quello che succede agli albini ritorniamo indietro di secoli. Per me non ha senso che oggigiorno si uccidano persone in questo modo e per queste ragioni. Non giustifico il seguire le tradizioni attraverso magici talismani quando sappiamo che ci sono metodi migliori per affrontare la vita. Se ci sono di mezzo i traffici e i soldi, la stregoneria rappresenta solo una bastardizzazione della tradizione. Gli stregoni portano avanti queste pratiche per guadagnare denaro, non per tradizione o per ignoranza, poiché sanno che uccidere è sbagliato. Bisogna inoltre cambiare la percezione delle persone riguardo all’albinismo da tutti i punti di vista: politico, sociale, culturale. C’è molta ignoranza e superstizione tra di noi, quindi dobbiamo essere dinamici e parlare di ciò che succede agli albini sotto una luce diversa, facendo vedere che l’albinismo è semplicemente una condizione della pelle e può anche essere qualcosa di bello. Delle iniziative di tipo culturale come i film, la musica, e l’arte possono dare un grande contributo a questa lotta.” La pressione essercitata dalle organizzazioni locali degli albini, dagli attivisti per i diritti umani, dai giornali e dai politici, ha portato a qualche cambiamento. In Burundi, grazie al primo processo in Africa contro i trafficanti d’albini, sono stati sentenziati a molti anni di prigione nove responsabili delle atrocità, tra cui due agenti di polizia coinvolti nel traffico. Il presidente della Tanzania, Jakaya Kikwete, ha autorizzato le autorità ad avviare una dura operazione contro gli stregoni, ha vietato per legge le loro cruenti pratiche, ha promosso delle votazioni segrete in alcuni villaggi per scovare i responsabili, e ha fatto distribuire dalla polizia dei telefonini gratuiti alla popolazione, con il numero d’emergenza per avvisare le autorità in caso si ripetessero violenze contro gli albini. Negli ultimi mesi sono stati 200 gli arresti. Nel frattempo, sempre in Tanzania, è stata nominata una parlamentare albina: la 58enne Kwegyir Al Shaymaa.
Matteo Fraschini Koffi
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