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Il Puntland, dove i pirati dettano legge

15 Agosto 2009

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per Avvenire

Nel 2009 già 31 sequestri di navi mercantili nel mare di Somalia

DA GIBUTI - Le navi di mezzo mon­do attraccano qui, l’ultimo porto sicuro prima di avventurarsi nel golfo di Aden, la geènna delle acque somale. C’è chi tira un respiro di sollievo per la missione riuscita e c’è chi fa gli ultimi calcoli – e scongiuri – prima di ri­partire verso il golfo.

Sempre più spesso il por­to di Gibuti è pure la so­spirata meta di quegli e­quipaggi che hanno sfio­rato la morte, sopportando mesi di prigionia alla mercé dei pirati somali, e poi sono liberati, nella maggior parte dei casi gra­zie al pagamento di un ri­scatto da parte dei pro­prietari delle navi o delle autorità governative che le rappresentano.

Sono 20mila le imbarca­zioni, militari o commer­ciali, che transitano qui annualmente, senza con­tare quelle colme di dispe­rati clandestini somali in direzione delle sponde ye­menite.

Quest’ultimi fug­gono da un Paese, la So­malia, che con l’inizio del­la guerra civile nel ’91 è im­ploso, trasformandosi nel più grande fallimento del­la storia di una nazione. Ed è proprio in quel periodo, dopo le carestie che hanno colpito il corno d’Africa nel ’ 74 e nell’ 86, che la pirate­ria ha avuto origine. Grup­pi di nomadi hanno ini­ziato a organizzarsi in co­munità di pescatori poiché il suolo non produceva più e il bestiame era comple­tamente sterminato. « La caduta del regime di Siad Barre, l’inzio della guerra civile, e la disintegrazione sia della marina somala sia della polizia costiera » so­no l’inizio di tutto spiega Mohamed Abshir Waldo, analista autore di Le due piraterie in Somalia: per­ché il mondo ignora l’altra.

« Tra il ’ 92 e il ’ 91 dei pe­scherecci illegali hanno cominciato a sconfinare nelle acque somale, bra­mosi di aragoste e pescato dal prezioso valore com- merciale » . La guerra tra i pescatori locali e quelli che praticavano la pesca « ille­gale, non- documentata e non- regolata » , era inizia­ta. Quest’ultima fattao principalmente con im­barcazioni europee e asia­tiche, alle quali si sono poi aggiunte quelle russe e a­mericane. « Le comunità somale – continua Waldo – hanno documentato ca­si di pescherecci illegali che rovesciavano acqua bollente sulle canoe dei lo­cali, distruggevano le reti, e frantumavano le loro barche uccidendo la gente a bordo » . I pescatori han­no quindi deciso di ar­marsi per difendersi.

Con il continuo aggravar­si della crisi somala, più at­tori sono entrati in gioco e le strategie, nonché le armi dei pescatori somali ormai etichettati come ' pirati', sono diventate più sofisti­cate. Secondo l’Unità di crisi per l’alto mare – un organismo internaziona­lio indipendente – circa 800 imbarcazioni illegali nelle acque somale fanno razzia di pesce per un va­lore annuale che supera i 450 milioni di dollari: cin­que volte tanto l’ammon­tare degli aiuti umanitari che spediscono in Soma­lia ogni anno. La risposta – fra corsari – non è meno pesante: se­condo l’Ufficio marittimo internazionale ( Imb), du­rante i primi sei mesi del 2009 ci sono stati 240 at­tacchi, più del doppio ri­spetto ai 114 nello stesso periodo del 2008, e la si­tuazione somala è la prin­cipale causa di questo au­mento. In tutto il 2008 fu­rono 42 le imbarcazioni sequestrate dai pirati so­mali con successo, mentre nei mesi del 2009 sono già 31. Sequestri giustificati sovente dai bucanieri con l’accusa di trasportare ri­fiuti tossici. Qualcosa di vero potrebbe esserci se lo Tsunami, una volta rag­giunta la Somalia, aveva fatto riaffiorare bidoni pieni di sostanze chimi­che che dai primi anni no­vanta erano stati buttati in mare. Una guerra corsara che potrebbe avere il suo Sta­to pirata: la regione semi­autonoma del Puntland, Somalia settentrionale, è diventata la culla della pi­rateria. La Buccaneer ha passato qui i suoi ultimi quattro mesi e se­condo al­cune indi­screzioni della mari­na italiana, il denaro dei riscatti è usa­to per raggiungere l’indi­pendenza in un futuro prossimo. « Se l’ammini­strazione del Puntland non attuerà delle riforme decisive coinvolgendo tut­ti i clan, la regione potreb­be spaccarsi violentemen­te, aggravando ulterior­mente la crisi somala » ha scritto recentemente un rapporto dell’Internatio­nal crisis group ( Icg). La comunità internazionale risponde pagando i riscat­ti, o armando le proprie navi e le amministrazioni locali. Gli Stati Uniti han­no regalato 40 tonnellate di armi al governo soma­lo, ma la stampa ha già do­cumentato che le armi vengono rivendute nei mercati di Mogadiscio. Non è da escludere che ne siano entrati in possesso anche dei pirati.

INTERVISTA

Secondo Hassan Osman, giornalista ed esperto di pirateria, pagare i riscatti è sbagliato: molti giovani, attratti dai guadagni facili, si uniscono ai malviventi

«Manca uno Stato che freni la criminalità»

DA GIBUTI

«Sono certo che le vere radici della pirateria sono nella de­vastante mancanza di un go­verno centrale in Somalia » , afferma a­maro Hassan Osman, giornalista per a­genzia di stampa Shabelle di Mogadiscio, da anni scrive dei moderni pirati. « Sap­piamo tutti che in questo Paese non ci so­no grandi opportunità e soprattutto man­cano dei buoni posti di lavoro. Per que­sto, sono molti i miei connazionali che e­migrano in cerca di una vita migliore, a qualunque costo. Ma molti di quelli che decidono di restare in Somalia, si uni­scono a gruppi di semplici criminali, al­tri finiscono nella pirateria, oppure ini­ziano a rapire uomini d’affari, operatori umanitari, giornalisti e chiunque abbia un la possibiltà di pagare un riscatto, che sia somalo o straniero».

Quali le possibili soluzioni per affronta­re intelligentemente il fenomeno della pirateria?

Prima di tutto è importante costituire un governo centrale funzionante di modo da riportare la pace e la stabilità. Poi bisogna formare delle Forze navali somale in gra­do di proteggere i pescatori legali dagli attacchi dei pirati. Queste forze navali lo­cali dovrebbero stabilire forti legami con forze navali straniere con cui potrebbero consultarsi sulle strategie da prendere.

E la comunità internazionale come do­vrebbe intervenire per eliminare la mi­naccia della pirateria?

Penso che la comunità internazionale debba entrare in relazione con le autorità somali, per esempio con l’amministra­zione del Puntland che è accusata di es­sere il principale centro da cui operano i pirati e gestisce le area dove le navi ven­gono sequestrate come spesso succede nella regione di Eyl. È indispensabile che i vari governi stranieri stabiliscano anche delle relazioni non solo con il governo fe­derale di transizione del presidente Sheikh Sharif Ahmed, ma anche con la popolazione somala e i leader locali.

Spesso i rapimenti si concludono col pa­gamento del riscatto. Questo può esere inteso come un gesto umanitario verso la popolazione?

Assolutamente no. Non credo che paga­re i riscatti sia la soluzione adatta a com­battere la pirateria, ma aiuta semplice­mente ad aumentarne il livello. Inoltre, andando avanti così, la gioventù somala si sentirà attratta sempre di più dalle a­zioni dei pirati e finirebbero per unirsi a loro.

Che fanno i pirati dei soldi ottenuti coi sequestri?

Dipende. Alcuni non perdono tempo e la­sciano il Paese, altri comprano nuove im­barcazioni, piccole o grandi, per attacca­re e sequestrare navi straniere, altri an­cora capitalizzano i soldi per iniziare del­le nuove attività commerciali sia all’este­ro sia in Somalia, principalmente nel set­tore delle costruzioni.

Come sono visti i pirati nel Paese? La po­polazione somala approva la pirateria?

Non c’è una posizione univoca. C’è chi pensa che i pirati difendano le nostre ri­sorse naturali nell’Oceano Ma è una mi­noranza. Sono certo che la maggior par­te dei civili condannano la pirateria e il comportamento dei pirati.

Matteo Fraschini Koffi

Via da Mogadiscio l’ultima tentazione per i bucanieri

GIBUTI - Il Puntland, sulla punta del corno d’Africa, si è dichiarato semi-autonomo nel 1998: sebbene sia governato in buona parte da una amministrazione autonoma – capitale commerciale è Bosaso, quella amministrativa è Garowe – i suoi abitanti non hanno mai chiesto la separazione dalla Somalia centrale, al contrario del vicino Somaliland. Negli ultimi tre anni, però, l’insicurezza è aumentata e il clan Harti, il principale fautore dell’autonomia, si sta dividendo, svelando nuove frange più estremiste che, secondo gli osservatori, inizieranno presto a lottare per l’indipendenza.

Popolato da circa due milioni di abitanti, il Puntland è diventato un centro pericoloso con spari d’arma da fuoco quasi quotidiani nei centri urbani: una criminalità che dilaga nella regione ormai base principale per i frequenti attacchi dei pirati. Non a caso ieri la polizia del Puntland ha arrestato sei pirati in un villaggio nei pressi di Bosaso. La polizia ha preso inoltre possesso di un’imbarcazione e di alcuni pezzi di ricambio. Le forze di sicurezza hanno inoltre sequestrato vaste quantità di armi; munizioni; piccole barche e carburante.

 

Matteo Fraschini Koffi

 

 

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