Il Puntland, dove i pirati dettano legge
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per Avvenire
Nel 2009 già 31 sequestri di navi mercantili nel mare di Somalia
DA GIBUTI - Le navi di mezzo mondo attraccano qui, l’ultimo porto sicuro prima di avventurarsi nel golfo di Aden, la geènna delle acque somale. C’è chi tira un respiro di sollievo per la missione riuscita e c’è chi fa gli ultimi calcoli – e scongiuri – prima di ripartire verso il golfo.
Sempre più spesso il porto di Gibuti è pure la sospirata meta di quegli equipaggi che hanno sfiorato la morte, sopportando mesi di prigionia alla mercé dei pirati somali, e poi sono liberati, nella maggior parte dei casi grazie al pagamento di un riscatto da parte dei proprietari delle navi o delle autorità governative che le rappresentano.
Sono 20mila le imbarcazioni, militari o commerciali, che transitano qui annualmente, senza contare quelle colme di disperati clandestini somali in direzione delle sponde yemenite.
Quest’ultimi fuggono da un Paese, la Somalia, che con l’inizio della guerra civile nel ’91 è imploso, trasformandosi nel più grande fallimento della storia di una nazione. Ed è proprio in quel periodo, dopo le carestie che hanno colpito il corno d’Africa nel ’ 74 e nell’ 86, che la pirateria ha avuto origine. Gruppi di nomadi hanno iniziato a organizzarsi in comunità di pescatori poiché il suolo non produceva più e il bestiame era completamente sterminato. « La caduta del regime di Siad Barre, l’inzio della guerra civile, e la disintegrazione sia della marina somala sia della polizia costiera » sono l’inizio di tutto spiega Mohamed Abshir Waldo, analista autore di Le due piraterie in Somalia: perché il mondo ignora l’altra.
« Tra il ’ 92 e il ’ 91 dei pescherecci illegali hanno cominciato a sconfinare nelle acque somale, bramosi di aragoste e pescato dal prezioso valore com- merciale » . La guerra tra i pescatori locali e quelli che praticavano la pesca « illegale, non- documentata e non- regolata » , era iniziata. Quest’ultima fattao principalmente con imbarcazioni europee e asiatiche, alle quali si sono poi aggiunte quelle russe e americane. « Le comunità somale – continua Waldo – hanno documentato casi di pescherecci illegali che rovesciavano acqua bollente sulle canoe dei locali, distruggevano le reti, e frantumavano le loro barche uccidendo la gente a bordo » . I pescatori hanno quindi deciso di armarsi per difendersi.
Con il continuo aggravarsi della crisi somala, più attori sono entrati in gioco e le strategie, nonché le armi dei pescatori somali ormai etichettati come ' pirati', sono diventate più sofisticate. Secondo l’Unità di crisi per l’alto mare – un organismo internazionalio indipendente – circa 800 imbarcazioni illegali nelle acque somale fanno razzia di pesce per un valore annuale che supera i 450 milioni di dollari: cinque volte tanto l’ammontare degli aiuti umanitari che spediscono in Somalia ogni anno. La risposta – fra corsari – non è meno pesante: secondo l’Ufficio marittimo internazionale ( Imb), durante i primi sei mesi del 2009 ci sono stati 240 attacchi, più del doppio rispetto ai 114 nello stesso periodo del 2008, e la situazione somala è la principale causa di questo aumento. In tutto il 2008 furono 42 le imbarcazioni sequestrate dai pirati somali con successo, mentre nei mesi del 2009 sono già 31. Sequestri giustificati sovente dai bucanieri con l’accusa di trasportare rifiuti tossici. Qualcosa di vero potrebbe esserci se lo Tsunami, una volta raggiunta la Somalia, aveva fatto riaffiorare bidoni pieni di sostanze chimiche che dai primi anni novanta erano stati buttati in mare. Una guerra corsara che potrebbe avere il suo Stato pirata: la regione semiautonoma del Puntland, Somalia settentrionale, è diventata la culla della pirateria. La Buccaneer ha passato qui i suoi ultimi quattro mesi e secondo alcune indiscrezioni della marina italiana, il denaro dei riscatti è usato per raggiungere l’indipendenza in un futuro prossimo. « Se l’amministrazione del Puntland non attuerà delle riforme decisive coinvolgendo tutti i clan, la regione potrebbe spaccarsi violentemente, aggravando ulteriormente la crisi somala » ha scritto recentemente un rapporto dell’International crisis group ( Icg). La comunità internazionale risponde pagando i riscatti, o armando le proprie navi e le amministrazioni locali. Gli Stati Uniti hanno regalato 40 tonnellate di armi al governo somalo, ma la stampa ha già documentato che le armi vengono rivendute nei mercati di Mogadiscio. Non è da escludere che ne siano entrati in possesso anche dei pirati.
INTERVISTA
Secondo Hassan Osman, giornalista ed esperto di pirateria, pagare i riscatti è sbagliato: molti giovani, attratti dai guadagni facili, si uniscono ai malviventi
«Manca uno Stato che freni la criminalità»
DA GIBUTI
«Sono certo che le vere radici della pirateria sono nella devastante mancanza di un governo centrale in Somalia » , afferma amaro Hassan Osman, giornalista per agenzia di stampa Shabelle di Mogadiscio, da anni scrive dei moderni pirati. « Sappiamo tutti che in questo Paese non ci sono grandi opportunità e soprattutto mancano dei buoni posti di lavoro. Per questo, sono molti i miei connazionali che emigrano in cerca di una vita migliore, a qualunque costo. Ma molti di quelli che decidono di restare in Somalia, si uniscono a gruppi di semplici criminali, altri finiscono nella pirateria, oppure iniziano a rapire uomini d’affari, operatori umanitari, giornalisti e chiunque abbia un la possibiltà di pagare un riscatto, che sia somalo o straniero».
Quali le possibili soluzioni per affrontare intelligentemente il fenomeno della pirateria?
Prima di tutto è importante costituire un governo centrale funzionante di modo da riportare la pace e la stabilità. Poi bisogna formare delle Forze navali somale in grado di proteggere i pescatori legali dagli attacchi dei pirati. Queste forze navali locali dovrebbero stabilire forti legami con forze navali straniere con cui potrebbero consultarsi sulle strategie da prendere.
E la comunità internazionale come dovrebbe intervenire per eliminare la minaccia della pirateria?
Penso che la comunità internazionale debba entrare in relazione con le autorità somali, per esempio con l’amministrazione del Puntland che è accusata di essere il principale centro da cui operano i pirati e gestisce le area dove le navi vengono sequestrate come spesso succede nella regione di Eyl. È indispensabile che i vari governi stranieri stabiliscano anche delle relazioni non solo con il governo federale di transizione del presidente Sheikh Sharif Ahmed, ma anche con la popolazione somala e i leader locali.
Spesso i rapimenti si concludono col pagamento del riscatto. Questo può esere inteso come un gesto umanitario verso la popolazione?
Assolutamente no. Non credo che pagare i riscatti sia la soluzione adatta a combattere la pirateria, ma aiuta semplicemente ad aumentarne il livello. Inoltre, andando avanti così, la gioventù somala si sentirà attratta sempre di più dalle azioni dei pirati e finirebbero per unirsi a loro.
Che fanno i pirati dei soldi ottenuti coi sequestri?
Dipende. Alcuni non perdono tempo e lasciano il Paese, altri comprano nuove imbarcazioni, piccole o grandi, per attaccare e sequestrare navi straniere, altri ancora capitalizzano i soldi per iniziare delle nuove attività commerciali sia all’estero sia in Somalia, principalmente nel settore delle costruzioni.
Come sono visti i pirati nel Paese? La popolazione somala approva la pirateria?
Non c’è una posizione univoca. C’è chi pensa che i pirati difendano le nostre risorse naturali nell’Oceano Ma è una minoranza. Sono certo che la maggior parte dei civili condannano la pirateria e il comportamento dei pirati.
Matteo Fraschini Koffi
Via da Mogadiscio l’ultima tentazione per i bucanieri
GIBUTI - Il Puntland, sulla punta del corno d’Africa, si è dichiarato semi-autonomo nel 1998: sebbene sia governato in buona parte da una amministrazione autonoma – capitale commerciale è Bosaso, quella amministrativa è Garowe – i suoi abitanti non hanno mai chiesto la separazione dalla Somalia centrale, al contrario del vicino Somaliland. Negli ultimi tre anni, però, l’insicurezza è aumentata e il clan Harti, il principale fautore dell’autonomia, si sta dividendo, svelando nuove frange più estremiste che, secondo gli osservatori, inizieranno presto a lottare per l’indipendenza.
Popolato da circa due milioni di abitanti, il Puntland è diventato un centro pericoloso con spari d’arma da fuoco quasi quotidiani nei centri urbani: una criminalità che dilaga nella regione ormai base principale per i frequenti attacchi dei pirati. Non a caso ieri la polizia del Puntland ha arrestato sei pirati in un villaggio nei pressi di Bosaso. La polizia ha preso inoltre possesso di un’imbarcazione e di alcuni pezzi di ricambio. Le forze di sicurezza hanno inoltre sequestrato vaste quantità di armi; munizioni; piccole barche e carburante.
Matteo Fraschini Koffi
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