Congo, nuova «offensiva» di ebola Corsa contro il tempo per fermarla
LOMÉ ( TOGO) - La parola d’ordine è “arginare”. Nelle province nordorientali della Repubblica democratica del Congo, autorità, Nazioni Unite e diverse organizzazioni umanitarie stanno lavorando senza un momento di tregua per combattere l’ebola. Le vaccinazioni sono iniziate questa settimana: l’obiettivo è raggiungere quante più persone possibili prima che il virus dilaghi. Secondo le ultime informazioni, «sono almeno 36 i decessi e 74 i casi di contagio ». La decima epidemia nella storia del Paese ha però un aggravante: la profonda instabilità della regione. Nord Kivu e Ituri, situate vicino al confine con l’Uganda occidentale, sono tra le aree più pericolose del territorio congolese. E più ricche. È qui che numerosi gruppi armati si combattono da anni per il controllo delle risorse naturali. Petrolio, oro, coltan, e mole altre materie prime sono la causa di indicibili violenze contro la popolazione civile che, ora, si trova ad affrontare un virus estremamente letale.
«Cominciare la vaccinazione così rapidamente è un primo passo fondamentale per prevenire ulteriori contagi – ha dichiarato giovedì scorso il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’etiope Tedros Adhanamon Ghebreyesus –. Ebola è un virus molto aggressivo, dobbiamo quindi rispondere in modo ancora più aggressivo ». Da primi allarmi di inizio agosto, il governo ha inviato subito nella zona una squadra di specialisti della salute. Anche le agenzie umanitarie locali e straniere, tra cui Medici senza frontiere (Msf), si sono subito attivate per aiutare le comunità più a rischio.
L’origine dell’epidemia potrebbe risalire addirittura a maggio, ma sembra non esserci alcuna relazione con la precedente crisi che ha colpito la provincia dell’Equateur. Quest’ultima è stata dichiarata conclusa a luglio dopo che 33 persone sono rimaste uccise. «Le nostre analisi genetiche mostrano che questa epidemia non è correlata a quella precedente scoppiata a una distanza di 2.500 chilometri, nella regione nordoccidentale del Paese – ha spiegato l’Oms –. Però si tratta dello stesso ceppo chiamato Zaire». L’epicentro del nuovo focolaio di infezione è a Mangina, una cittadina a 30 chilometri da Beni, dove risiedono 400mila persone. Verso questa località sono in arrivo dalla capitale, Kinshasa ci sono oltre 3mila dosi del vaccino ancora sperimentale, RVSV-ZEBOV. Man man che il materiale viene spedito, gli operatori sanitari lo distribuiscono. «Le sfide riguardo all’insicurezza sul territorio stanno però ostacolando il nostro lavoro», hanno confermato le agenzie umanitarie. Martedì scorso, sono stati trovati 14 morti a 40 chilometri da Mangina. Secondo le autorità, sono vittime di scontri tra le varie milizie che occupano la zona. Tra i gruppi armati più temuti ci sono le Forze alleate democratiche (Adf) che controllano diverse regioni tra Uganda e Congo. La Missione Onu in Congo (Monusco) ha dichiarato che i miliziani dell’Adf sono legati ad altri gruppi terroristi come i somali di al-Shabaab e i nigeriani di Boko Haram. Tale formazione è attiva nel nord-est fin dagli anni Novanta. Negli ultimi decenni, le Adf hanno perpetrato numerosi ed efferati massacri tra i civili e sono responsabili di continui attacchi all’esercito congolese. La pericolosità dell’area è uno dei motivi principali per cui risulta difficile raggiungere gran parte delle comunità più bisognose. «Stiamo impiegando tutte le energie e le capacità disponibili per controllare rapidamente l’epidemia – ha assicurato alla stampa Oly Ilunga, ministro della Salute –. La fase finale della vaccinazione dovrebbe permetterci di rompere la catena del contagio».
LOMÉ ( TOGO) - Ancora una volta gli operatori di Medici senza frontiere (Msf) sono in prima fila ad affrontare l’epidemia di ebola. Francesco Segoni, addetto alla comunicazione dell’organizzazione umanitaria, sottolinea le difficoltà quotidiane con cui ci si scontra lavorando in un contesto pieno di ostacoli e sfide. Nonostante ciò, «ogni giorno è importante per combattere tale crisi, sostenendo le strutture locali e collaborando con le autorità governative e l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms)», spiega Segoni.
Quali misure iniziali avete adottato per affrontare questo nuovo focolaio del virus ebola?
Per il momento, Medici senza frontiere ha aperto un centro legato al trattamento di base per contrastare l’epidemia. Tale struttura sanitaria si trova a Mangina, considerata l’epicentro di quest’ultima crisi. La nostra struttura ha, per ora, trenta posti letto: nel prossimo futuro, sarà, probabilmente, necessario aumentare gli spazi per eventuali nuovi pazienti. I trattamenti di base sono in corso, però siamo in attesa di sapere quali saranno gli sviluppi per rispondere al meglio ai bisogni della popolazione.
Ciò significa che ancora non è stata completamente compresa l’estensione di quest’ultima epidemia di ebola?
Possiamo dire che non ci sono ancora tutte le informazioni di cui le organizzazio- ni umanitarie e governative avrebbero bisogno. Per ora, ci stiamo occupando di fare la dovuta formazione al personale medico. Inoltre, lavoriamo per appoggiare le strutture sanitarie già esistenti in loco.
Come sempre in questi situazioni, tra gli obiettivi principali che ci poniamo c’è l’evitare un ulteriore diffusione del virus. Ma dobbiamo anche assicurarci che ci sia una continuità delle cure verso i pazienti già malati e quelle persone che rappresentano i casi sospetti di contagio. Purtroppo i problemi da affrontare sono però molti e gravi.
Quali sono gli esempi concreti riguardo agli ostacoli e ai problemi che dovete affrontare quotidianamente nel vostro lavoro?
È importante, secondo me, capire che la situazione evolve di giorno in giorno. Il contesto in cui lavoriamo è difficile, complicato. Sono passati pochi giorni dalla fine della nona epidemia di ebola in Congo e dobbiamo già affrontarne un’altra. Inoltre, questa crisi è stata scoperta in ritardo: i primi casi risalivano molto probabilmente a maggio. Ma in quest’area del Paese regna l’insicurezza ed è molto difficile comunicare con le varie comunità. Diversi gruppi armati si contendono il territorio per le risorse naturali e da anni compiono massacri contro la popolazione civile. È quindi una zona altamente pericolosa non solo per i pazienti che curiamo, ma anche per il nostro personale, composto da oltre venti operatori stranieri e di decine di congolesi.
Come vede quindi il futuro prossimo rispetto alla lotta contro tale virus?
Siamo in un momento in cui dobbiamo ancora definire con precisione l’entità dell’attuale crisi. Speriamo, quindi, che si chiariscano nel più breve tempo possibile gli ultimi dubbi. Msf è un’organizzazione che lavora in modo autonomo. Rispetto al piano generale, però, collaboriamo con il governo e l’Oms. Sebbene quindi ci sia stato un certo ritardo nell’allerta, le azioni conseguenti sono state assai tempestive. Noi tutti abbiamo mandato le nostre squadre di monitoraggio, prevenzione e soccorso per curare i primi pazienti e analizzare al meglio la situazione. In questi giorni il personale di Msf aumenterà di numero con la speranza che si possa presto arginare la crisi e fermare il virus il più rapidamente possibile.
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Un killer misterioso che uccide 9 volte su 10
Ebola, scoperto nel 1976 lungo le rive dell’omonimo fiume nella Repubblica democratica del Congo da cui prende il nome, è tra i più misteriosi virus che continuano a colpire il continente africano. Si tratta di una malattia emorragica virale che colpisce uomini e primati, uccidendo fino al 90 per cento delle vittime contagiate. Il virus, contratto attraverso il sangue o i fluidi corporei di un animale infetto come scimmie o pipistrelli da frutta, provoca inizialmente nausa, vomito, e diarrea, alterando la funzionalità epatica e renale. I sintomi si manifestano da due giorni a tre settimane dopo l’infezione. Non esiste un trattamento specifico: in genere si applica una terapia di supporto basata nella reidratazione.