”EuropAfrique”, la (sur)reale relazione tra UE e Africa subsahariana

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LOMÉ, Togo – Il 21 novembre, Emmanuel Macron ha organizzato un dibattito all’Assemblea nazionale francese intitolato: “Partenariati rinnovati tra la Francia e l'Africa”. La sala, però, era quasi vuota.

Catherine Colonna, ministra dell’Europa e degli Affari esteri, è stata quindi introdotta dalle fragorose risate della Presidente dell’Assemblea, Yaël Braun-Pivet. Colonna, con prevedibile imbarazzo, ha cominciato il suo discorso dicendo che: “[...] la relazione della Francia con l’Africa è una priorità della nostra politica estera [...]”. La Francia ha influenzato molto le decisioni dell’Europa rispetto al continente africano, ma nell’ultimo periodo il continente africano ha dimostrato di essere contrario a molte (in)decisioni dell’Europa.

Un articolo di Le Mondafrique (LM) del 25 novembre ha in seguito confermato che il Generale Abdourahman Tchiani, capo della giunta militare in Niger, avrebbe deciso di riaprire i canali migratori. Secondo LM il governo ha recentemente abrogato la legge 2015-36 che criminalizzava i trafficanti di migranti. Una legge voluta proprio dall’UE. “Questa notizia – sostiene Le Mondafrique – dovrebbe suscitare preoccupazione per Bruxelles poiché il suo sostegno al regime socialista nigerino rovesciato il 26 luglio si basava soprattutto sulla volontà delle autorità nigerine di lottare contro il flusso di migranti tra la Libia e l'Europa”. L’ambigua posizione dell’UE rispetto ai differenti colpi di Stato in Africa subsahariana sembra quindi trasformare l’anti-francesismo in anti-europeismo in alcuni Stati africani.

Durante le ultime “giornate dell’UE” organizzate a maggio nelle varie delegazioni in Africa (e ad alcune feste delle ambasciate europee in loco), molti partecipanti sono rimasti sorpresi da quanto i discorsi dei vari ambasciatori europei fossero caratterizzati da lunghi passaggi sul conflitto Russia-Ucraina. Funzionari come Emanuela Del Re, inviata speciale dell’UE per il Sahel, non hanno la possibilità di sfruttare il loro potenziale. Il ruolo che riveste Del Re è inoltre uno dei più difficili rispetto alla relazione “EuropAfrique”. La funzionaria pentastellata europea sembra infatti prossima a lasciare l’incarico. L’ultima volta che ci siamo incontrati in Togo ho percepito come il suo ufficio stesse perdendo peso tanto in Europa quanto nel Sahel.

È stato inoltre paradossale vedere come Del Re, “inviata speciale dell’UE” appunto, non sia riuscita per varie ragioni a incontrare il presidente togolese, Faure Gnassingbé durante la sua ultima visita a marzo. Ad aprile, invece, c’era riuscito Mario Giro, “inviato speciale dell’Italia”. Del Re voleva discutere la complessa situazione nel Sahel, Giro era invece arrivato per chiedere aiuto al Togo rispetto alla candidatura di Roma per l’Expo 2030 (il Togo aveva già aiutato Milano per l’Expo 2015). Per rendere le cose ancora più confuse, dopo quell’incontro e a causa di alcuni errori pubblicati sulla stampa locale, una parte dei togolesi ora crede che Mario Giro sia il vero sindaco di Roma. Povero Gualtieri.

Nel Sahel sono inoltre (troppo) scoordinate le dinamiche europee delle rispettive ambasciate in loco. La Spagna e l’Olanda hanno deciso di rimanere in Mali; la Danimarca, come altri Stati europei, è invece partita dopo un rocambolesco braccio di ferro con la giunta del Colonnello Assimi Goita. La Germania era confusa da tempo: da una parte voleva andarsene ma dall’altra era molto interessata al potenziale minerario del Paese (litio, specialmente). Non è facile seguire tutti questi cambiamenti. Il Belgio non vuole perdere diplomatici in Mali e Niger. Così, invece di nominare degli ambasciatori, ha dei “Chargé d'affaires” (Cda) come Patrick Deboeck (ormai stanco di vivere in Mali) e Erik De Maeyer. Il terzo e ultimo Cda di tutte le ambasciate belghe nel mondo è in Congo-Brazzaville. In Niger era invece durato (troppo) a lungo il recente braccio di ferro tra Macron e Tchiani. In mezzo c’era l’ex ambasciatore francese in Niger, Sylvain Itté, bloccato in ambasciata per diverse settimane dopo un anno di teso lavoro nel Paese. Una battaglia che, una volta finita il 27 settembre, ha visto Itté volare finalmente a Parigi. Tchiani ha vinto.

Tra alcuni funzionari della Farnesina c’è invece un certo astio verso Emilia Gatto, ex ambasciatrice italiana in Niger. Secondo alcune fonti interne, i telegrammi che Gatto spediva a Roma prima del colpo di Stato del 26 luglio non erano di natura...“soddisfacente”. Non spiegavano abbastanza bene una situazione in corso di implosione. Gatto, rientrata in vacanza in Italia prima del golpe, è tornata brevemente nella capitale nigerina, Niamey, per poi volare come ambasciatrice a Seoul. Gli analisti africani faticano a trovare un legame logico tra un contesto come quello in Niger e la Corea del Sud. Ma è anche vero che il suo predecessore, Marco Prencipe, ora è console a Osaka, in Giappone. Il Senegal sta valutando la scelta della Farnesina rispetto a Caterina Bertolini, ambasciatrice con una buona reputazione ma considerata un’esperta di America Latina e Caraibi che non ha veramente mai vissuto in Africa. In Burkina Faso è stata organizzata a settembre la cerimonia di addio per l’ambasciatore Andrea Romussi. Nonostante abbia ricevuto la medaglia di Ufficiale dell’Ordine degli Stalloni (la più grande onorificenza del Burkina Faso), gli anni di Romussi sul territorio burkinabé sono stati...“complessi”, per usare un eufemismo.

Alla Farnesina c’è molta confusione rispetto all’Africa. Gli esperti del settore sono sempre di meno o preferiscono lavorare altrove: fondazioni, ONG, Onu, ecc. Alcuni diplomatici italiani sostengono che il dipartimento Africa Subsahariana debba essere rivoluzionato da tempo. C’è chi vuole l’immediato rimpiazzo del direttore, Giuseppe Mistretta, il quale ha invece appena scritto un altro libro. Nella mia ultima visita in Italia ho notato che alcuni autori pubblicano libri sull’Africa dei giorni nostri senza esserci quasi mai stati negli ultimi anni (alcuni credono che l’Etiopia sia l’unico Paese dell’Africa Subsahariana a non essere mai stato colonizzato dagli europei, dimenticando la Liberia governata negli ultimi anni dall’ex calciatore del Milan, George Weah).

Gli Stati Uniti, anch’essi molto confusi in Africa, hanno detto “bye bye” ai francesi che lasciavano il Niger. L’amministrazione Biden manterrà la base americana ad Agadez (nel nord) con tanti droni e centinaia di soldati. Nel 2015 ho fatto la rotta dei migranti verso Agadez. La cosa che più mi ha stupito non era la fatica, le botte, le urla, o gli insulti che i migranti subiscono durante il tragitto. Sono i soldi che quasi ogni passeggero, su ogni bus (circa cinque al giorno tra Niamey e Agadez), tutti i giorni, per anni, è costretto a versare ai posti di blocco. Una volta sono stato invitato a cena da una simpatica coppia di italiani: lei pugliese e operatrice umanitaria di una Ong, lui funzionario di una delle “cooperazioni” occidentali a Niamey. Quest’ultimo aveva apprezzato i miei articoli su AVVENIRE ma li aveva letti con molto imbarazzo. Deluso e sorpreso allo stesso tempo, mi ha infatti confessato che le forze di sicurezza nigerine che chiedevano soldi ai migranti erano state formate dalla sua organizzazione.

Le recenti riunioni a porte chiuse con i telefonini fuori dalla stanza per non essere ascoltati e registrati non serviranno quindi a evitare l’imbarazzo di questa UE. Un’istituzione che in Africa è vista come un carrozzone capace solo di sborsare denaro. Anzi, forse neanche più quello. Centinaia di milioni di euro (troppo) spesso sono destinati a progetti (assai) discutibili. Tra i governi c’è inoltre chi rifiuta i soldi dell’UE solo per questioni di burocrazia: “Non hanno voglia di studiare e compilare tutti quei (spesso ipocriti) requisiti che vengono richiesti nei contratti europei”, mi ha confermato un diplomatico europeo in Africa occidentale. E poi l’intero continente è corteggiato da tutto il mondo. Dopo gli scandali di corruzione che hanno colpito il Parlamento europeo un anno fa, il pensiero di molti leader africani è uno solo: “Siamo stanchi di sentirci dire dall’UE come dovremmo vivere”.  

Per molti, la cosiddetta “Unione Europea” è composta da Paesi e funzionari quasi sempre divisi su tutto. Alcuni impiegati lavorano da casa in Europa sebbene siano destinati a delegazioni in Africa. Altri sono stati semplicemente dimenticati in Africa. Altri ancora non si interessano neanche al Paese in cui lavorano. Per fortuna ci sono diversi funzionari (alcuni cari amici) che, dentro le varie delegazioni, lavorano con onestà e sacrificio, cercando di superare tutti gli ostacoli più ovvi. Ma durante il mandato di un’ambasciatrice europea in Africa occidentale, gran parte della delegazione in loco non è riuscita a lavorare a causa della "turbolenta" storia sentimentale della stessa ambasciatrice con un suo impiegato. Quest’ultimo era pure sposato con una sua collega (all’interno della delegazione) con cui aveva dei figli. Un periodo di tragica professionalità che ha lasciato le autorità del Paese africano in questione a bocca aperta o con le lacrime agli occhi per le risate. Maud Arnold, collaboratrice di Josep Borrell, “non è all’altezza del suo ruolo”, sarebbero i commenti di diversi suoi colleghi. Per alcuni governi africani e per gli stessi vertici UE molte delle loro delegazioni in Africa hanno poco senso.

Gli occhi del continente sono inoltre puntati su Jérémie Robert (43 anni ed ex console di New York), il nuovo “Monsieur Afrique” di Macron. Considerato “competente per certi aspetti ma troppo arrivista per altri”, Jérémie è sposato con Shinuna Karume-Robert, nipote di Abeid Karume, primo presidente dello Zanzibar. L’anno scorso i coniugi Robert hanno partecipato alla sontuosa cena danzante dell’American Friends of the Louvre. Shinuna Karume (proprietaria del lussuoso Kasha Boutique Hotel) ballò persino con Christopher "Kip" Forbes, vicepresidente dell’omonimo gruppo editoriale. Infine, Salvador Pinto da França. Per anni ambasciatore (di doppia nazionalità, portoghese e francese) UE in Niger, è stato accusato da funzionari europei e africani di “seguire solo le indicazioni di Parigi” senza dare peso alle opinioni del resto degli Stati dell’Unione. Abbiamo forse bisogno di una “Cassidy Hutchinson europea” per capire meglio cosa stia succedendo tra l’UE e l’Africa? A causa di questo garbuglio di dinamiche (sur)reali che i media faticano a spiegare, la “EuropAfrique” annaspa.


Matteo Fraschini Koffi (giornalista e scrittore) - 28 novembre 2023

Tags: attualità cronaca

Matteo Fraschini Koffi - Giornalista Freelance