In Niger la caccia alle risorse va ben al di là del jihadismo
LOME', Togo - Rimane alta la tensione in Niger dove non si fermano gli attacchi jihadisti. Sebbene le violenze siano iniziate nel 2015 e si siano intensificate nel 2017, il Paese saheliano è entrato in una nuova fase del conflitto
il 2 gennaio del 2021, 521 giorni fa. In quei giorni una serie di massacri contro alcuni villaggi aveva provocato almeno 105 morti. «Sono state prese di mira le località di Tchouma Bangou e Zaroumdareye nella regione sudoccidentale di Tillaberi – aveva dichiarato il presidente del Niger, Mohamed Bazoum –. Lo Stato farà di tutto per aumentare la sicurezza dei propri cittadini». Da allora, però, le violenze e le vittime sono radicalmente aumentate. Sono almeno 800 i morti e 580mila i profughi nigerini interni e esterni. Numerosi gruppi di militanti islamici, spesso provenienti dai Paesi confinanti, lanciano regolari incursioni attraverso le estese frontiere del Niger assai difficili da controllare. Gran parte degli attacchi jihadisti avviene nella cosiddetta “regione dei tre confini”, tra Mali, Burkina Faso e Niger – affermano gli analisti –. Altre incursioni avvengono invece nel remoto est del territorio alla frontiera con Nigeria e Ciad. La minaccia jihadista arriva anche dal nord, al confine con la Libia, dove dopo la caduta dell’ex leader libico, Muhammar Gheddafi, nel 2011, il Niger ha visto arrivare centinaia di miliziani armati legati allo Stato islamico (Daesh) e ad al-Qaeda. I militanti islamici prendono di mira militari, civili, politici, leader religiosi e tradizionali. Inoltre, sfruttando la povertà che attanaglia da decenni la popolazione nigerina, sono in grado di reclutare centinaia di giovani uomini e donne. Dopo un breve periodo in cui Bazoum sembrava disposto al dialogo con i jihadisti, la situazione è cambiata.
Una legge approvata rapidamente dal parlamento ad aprile nella capitale nigerina, Niamey, permette allo Stato di accettare l’aiuto di forze straniere per combattere l’offensiva islamica. La Francia sta spostando i suoi militari dal Mali in Niger (dove opera Areva nelle miniere di uranio), il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, ha visitato il 23 maggio i suoi soldati nella regione meridionale del Paese, mentre Italia, Canada e Stati Uniti sono anch’essi presenti in Niger con l’obiettivo di addestrare l’esercito nigerino. Inoltre, la Turchia ha appena venduto diversi droni al Paese saheliano. «Circa 40 militanti del gruppo jihadista nigeriano, Boko Haram, sono stati uccisi – ha riferito settimana scorsa una nota del ministero della Difesa nigerino –. I jihadisti giravano in quattro grandi canoe per le isole del Lago Ciad con l’intenzione di colpire i nostri soldati». Il Niger, attaccato da ogni frontiera, sta sviluppando le sue risorse energetiche, soprattutto gas, petrolio e uranio. Nel 2024 sarà terminato un oleodotto costruito dai cinesi che dai siti petroliferi di Agadem, nel sud-est del territorio, raggiungerà la costa del vicino Benin. «Per la nostra economia è una buona notizia – conferma ad “Avvenire” Ibrahim Manzo Diallo, analista geopolitico nigerino –, ma la popolazione ha paura che questi progetti possano aggravare ulteriormente la nostra sicurezza».
Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 7 giugno 2022 © RIPRODUZIONE RISERVATA