In Mozambico assedio alla Total
Nell’ultimo anno, tanto le compagnie private estere quanto le organizzazioni umanitarie sono state costrette a interrompere i lavori a causa dell’aumento delle violenze nel nord. Dalla ripresa degli scontri nel 2017, almeno 2.600 persone sono rimaste uccise mentre gli sfollati sono oltre 700mila. «I residenti di Palma, tra cui numerosi dei nostri catechisti, fuggono terrorizzati nelle foreste e nelle montagne vicine da due settimane – ha detto ieri alla fondazione pontificia, Aiuto alla chiesa che soffre (Acs), padre Edegard Silva, missionario brasiliano attualmente a Pemba, capitale della provincia di Cabo Delgado –. Ci è però difficile comunicare con loro a causa del segnale debole e della difficoltà nel caricare le batterie dei loro cellulari». Il nord del Mozambico è una zona remota considerata tra le più povere del Paese. Quando nel 2017 iniziarono i primi focolai, la comunità internazionale li aveva ignorati. Da allora, l’ondata jihadista è cresciuta, diventando una delle più grandi minacce per la stabilità dello Stato mozambicano. Sebbene il presidente, Filipe Nyusi, assicuri pubblicamente che la situazione sarà «gestita al più presto», le autorità locali sono allo stremo delle loro forze. I mozambicani stanno ancora subendo gli effetti della guerra civile finita alla metà degli anni Settanta, che ha ritardato enormemente lo sviluppo del Paese. Inoltre, negli ultimi anni sono stati frequenti gli scandali di corruzione che hanno indebolito l’economia locale.
Matteo Fraschini Koffi per AVVVENIRE - 28 marzo 2021 © RIPRODUZIONE RISERVATA