«L’Europa non ci deve abbandonare Salvi i piani per i migranti del Sahel»
DAKAR, Senegal - Siamo ormai agli sgoccioli. I programmi legati alla migrazione nella fascia saheliana potrebbero presto subire una brusca e pericolosa sospensione di finanziamenti se l’Unione Europea non agirà
nel più breve tempo possibile per tenerli in vita. A causa di cavilli burocratici e dinamiche politiche, la delicata “Iniziativa congiunta per la protezione e reintegrazione dei migranti” rischia infatti di svanire.
«Abbiamo soccorso un gruppo di 70 nigeriani in un’oasi nel deserto del Niger», racconta ad Avvenire Michele Bombassei, responsabile dell’Organizzazione internazionale per la migrazione (Oim), e coordinatore regionale del Fondo fiduciario (Eutf). «Piangevano tutti di felicità poiché erano stati abbandonati da due giorni dal trafficante in condizioni disperate. Nel deserto – continua, dalla capitale senegalese, Dakar, il responsabile dell’organizzazione legata alle Nazioni Unite – non puoi permetterti il minimo er- rore, altrimenti muori. Solo grazie a nuovi fondi potremmo evitare tragedie simili».
Negli anni passati, migliaia di migranti, in gran parte bambini e donne, sono morti attraversando le frontiere tra Libia, Algeria e Niger. A volte abbandonati dai trafficanti o anche espulsi dalle autorità locali. Nel settembre del 2013, 52 minori, 33 donne e sette uomini, erano stati sepolti vicino alla città nigerina di Arlit, verso il confine con l’Algeria. I cadaveri di una madre mentre abbracciava suo figlio erano stati trovati dallo staff dell’Oim. Uno degli obiettivi dell’organizzazione è appunto prevenire questi scenari. Intervenire prima di affrontare ogni mese la morte di centinaia di persone nel deserto e continuare a seguire il travagliato processo di reintegrazione nei loro Paesi di origine. Da Bruxelles, però, le notizie rispetto al futuro prossimo di questi progetti di assistenza ai migranti sono preoccupanti. Lo Eutf, sebbene sulla carta abbia prolungato la sua esistenza di un anno, fino a dicembre 2021, non ha infatti intenzione di erogare altri finanziamenti. «La posticipazione della chiusura servirebbe unicamente a negoziare gli ultimi contratti – spiega una fonte del Servizio europeo dell’azione esterna da Bruxelles –, e a terminare i fondi rimasti di programmi già stabiliti prima della crisi sanitaria legata alla pandemia di coronavirus ».
Si dovrà quindi aspettare almeno un anno prima che il cosiddetto “Neighbourhood, development, and international cooperation instrument” (Ndici), lo strumento europeo per finanziare l’assistenza allo sviluppo nel mondo, venga messo in atto. Per quel lasso di tempo, l’Oim ha lanciato un urgente appello per 100 milioni di dollari. Con questa cifra si eviterebbe di interrompere il loro lavoro nella regione. «Senza altri fondi dovremo chiudere centri di accoglienza e vari progetti in corso» – sottolinea Bombassei –. Licenzieremo anche il personale da noi formato dopo anni di esperienza e che difficilmente potremmo riassumere quando arriveranno nuovi finanziamenti ». In un contesto così complesso, le critiche alle agenzie umanitarie, ovviamente, non mancano. Spesso servono anche a giustificare l’assenza di nuovi fondi. Il Sahel e il Lago Ciad sono da anni teatro di un’avanzata jihadista difficile da arginare.
I militanti islamici come quelli che combattono con Boko Haram in Nigeria, Niger, Ciad, e con il Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Gsim) in Mali e Burkina Faso, occupano vasti territori della regione. La sicurezza degli umanitari, infatti, è tra le spese più costose. In passato, l’Oim era stata accusata di spendere troppo e di una mancanza di trasparenza. «Facciamo dettagliati rapporti, riunioni e valutazioni, interne e esterne – conclude Bombassei –. Abbiamo sempre cercato di mostrare i nostri risultati ai Paesi donatori nel modo più trasparente possibile».
Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 17 gennaio 2021 © RIPRODUZIONE RISERVATA