Centrafrica, battaglia per la capitale I ribelli verso Bangui: in fuga i civili
DAKAR, Senegal - Sempre più alta la tensione nella Repubblica Centrafricana. Bangui, la capitale, si è svegliata ieri con esplosioni provenienti dalla periferia: due attacchi sono stati lanciati da una coalizione di gruppi ribelli.
Per il momento, comunque, le forze di pace hanno saputo reagire mantenendo le loro posizioni. «Una grande quantità di ribelli ha cercato di prendere Bangui entrando da più fronti», ha dichiarato ieri alla stampa Firmin Ngrebada, primo ministro centrafricano. «Le nostre forze armate sostenute da russi e ruandesi hanno comunque fatto arretrare gli aggressori. Quindi – ha continuato Ngrebada – faccio appello ai cittadini a rimanere calmi». Non si sa quante siano le vittime.
Da quando sono iniziate le violenze con l’avvicinarsi delle elezioni, almeno 30mila persone hanno abbandonato le loro abitazioni per cercare rifugio nei Paesi limitrofi. Sebbene le autorità abbiano parlato di questi ultimi scontri senza entrare nei dettagli, almeno un casco blu ruandese è rimasto ucciso negli scontri. «Uno dei nostri soldati è morto durante una sparatoria a circa 12 chilometri dal centro di Bangui – ha ammesso ieri Abdoulaziz Fallha, portavoce della Missione Onu nel Paese (Minusca) –. Alcuni ribelli sono invece stati catturati e più di dieci sono rimasti uccisi ». Il presidente appena rieletto, Faustin-Archange Touadera, ha accusato l’ex presidente, François Bozizé, di essere dietro la ribellione. Quest’ultimo ha confermato di appoggiare i ribelli senza però spiegare in che modo. «Marceremo presto sulla capitale – recitava una dichiarazione della Coalizione dei patrioti per il cambiamento (Cpc) formata da gruppi armati di fede musulmana e cristiana –. Queste elezioni non dovevano avere luogo in Centrafrica». I vari accordi di pace che hanno caratterizzato il processo per la ricostruzione del Paese sono falliti. Nonostante alcuni modesti progressi, la ribellione armata è nuovamente esplosa non appena la Corte costituzionale ha rifiutato la candidatura di Bozizé alle elezioni presidenziali. Da allora numerose località sparse per tutto il territorio centrafricano sono sotto assedio.
«La situazione delle persone che con cui siamo in contatto nella cittadina di Bouar è sempre più tragica – ha spiegato ad Avvenire Valeria Masoni, vice presidente della Onlus “Ho avuto sete”, che, insieme alla diocesi di Carpi, sostiene una parrocchia locale –. La pandemia di coronavirus e il conflitto stanno mettendo a dura prova i nostri beneficiari, gran parte di essi bambini».
La Repubblica Centrafricana, uno Stato grande il doppio dell’Italia, con meno di cinque milioni di abitanti, è ricco di risorse. Miniere d’oro e pietre preziose, foreste, petrolio e bestiame sono tra le maggiori ricchezze del territorio. A causa delle materie prime ci sono stati almeno cinque colpi di Stato. Secondo gli analisti, «potenze straniere come Francia, Russia, e Cina stanno combattendo dietro le quinte per avere un ruolo sempre maggiore nel Paese.
Due presidenti e un Paese in ginocchio
Il duro braccio di ferro tra il presidente centrafricano, Faustin-Archange Touadera, e l’ex presidente, François Bozizé, continua a provocare violenze. Salito al potere con le elezioni del marzo 2016, l’attuale leader ha vinto con il 54 per cento dei voti le elezioni del 27 dicembre scorso. Touadera è stato per cinque anni il primo ministro dell’amministrazione Bozizé, fino a quando l’ex presidente, dopo dieci anni alla testa del Paese, ha dovuto fuggire in Camerun in seguito al golpe del 2013 lanciato dalla coalizione di gruppi ribelli, Seleka. Un
tempo alleati, ora i due leader sono sostenuti da differenti potenze straniere. Russia, Ruanda e caschi blu dell’Onu stanno proteggendo Touadera, mentre la Cina sembra appoggiare un ritorno di Bozizé. Il ruolo della Francia e del Ciad resta ambiguo.
Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 14 gennaio 2021 © RIPRODUZIONE RISERVATA