Un’altra guerra «straniera» incombe sul Centrafrica
DAKAR, Senegal - Sono ore di alta tensione nella Repubblica Centrafricana. Sebbene sia difficile confermare ogni singolo episodio di violenza, diversi gruppi ribelli stanno avanzando verso la capitale, Bangui. Sul loro cammino si sono già scontrati con le forze di pace
dell’Onu intenzionate a difendere il governo locale e il processo elettorale di domenica. «Il Paese si trova in una situazione diversa rispetto agli ultimi anni», spiega ad Avvenire dalla capitale Bangui padre Federico Trinchero, missionario carmelitano. «Per fortuna la dimensione confessionale che divideva i cristiani dai musulmani per ora non influenza il conflitto. Purtroppo – continua il religioso –, i vari attori oggi vogliono comunque lottare per il potere ed è molto complicato decifrare le diverse dinamiche». Almeno sei formazioni ribelli, apparentemente alleate all’ex presidente centrafricano, François Bozizé, hanno recentemente formato la Coalizione dei patrioti per il cambiamento (Cpc). Si tratta di miliziani che provengono sia dall’ex coalizione Seleka, di fede e tradizione principalmente musulmana, che dagli anti-balaka, legati alla comunità cristiana. Diverse potenze straniere sono però coinvolte. «I 300 istruttori mi- litari appena arrivati da Mosca per assistere le autorità locali si aggiungono a decine di mercenari russi già in loco – affermano gli esperti –. Le forze ruandesi, parte anche della Missione Onu nel Paese (Minusca), hanno invece assunto un ruolo di capofila durante gli scontri».
Centinaia i militari affluiti dal Ruanda per appoggiare il leader uscente Faustin-Archange Touadera. C’è chi specula invece sull’appoggio a Bozizé fornito dalla Cina interessata alle materie prime nel nord del territorio, mentre il ruolo della Francia, ex potenza coloniale, rimane ambiguo. «Alcune milizie del nord avevano preso brevemente Bambari martedì, la quarta città più importante del Centrafrica – ha confermato la Minusca ieri in un comunicato –. Oggi i nostri caschi blu sono però riusciti a riprenderne il controllo». Altre cittadine sono state teatro di scontri o testimoni del passaggio da nord a sud, verso Bangui, di centinaia di individui armati. Tra i civili c’è il timore di un ritorno alle violenze della guerra civile scoppiata nel 2012. La comunità italiana, costituita soprattutto di missionari e operatori umanitari, sta seguendo con apprensione l’evoluzione degli eventi. L’avanzata di insorti provenienti da varie parti del territorio è iniziata intorno al periodo in cui Bozizé ha visto rifiutata la sua candidatura alle elezioni presidenziali. Pochi si aspettavano una reazione del genere. «Il presidente uscente, Touadera, ha fatto molto poco per la popolazione in questi anni – commentano in molti –. È al potere solo grazie a contratti favorevoli con aziende straniere interessate alle ricchezze naturali del sottosuolo».
Sebbene l’opposizione politica ha fatto appello per un posticipo delle elezioni, Touadera esige che si vada avanti anche se si dovesse votare solo a Bangui. Le prossime ore saranno quindi fondamentali per il futuro prossimo del Centrafrica.
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Gli appelli di papa Francesco fermarono le armi:
Papa Francesco è arrivato il 29 novembre del 2015 nella capitale centrafricana, Bangui e là, aprendo la porta della cattedrale, ha inaugurato il Giubileo della Misericordia. I ribelli, dopo tre anni di scontri, controllavano quasi tutto il territorio del Paese, oltre ad alcuni quartieri di Bangui. Il Papa aveva fatto appello a miliziani cristiani e musulmani affinché deponessero le armi e partecipassero alla riconciliazione nazionale. E le armi avevano taciuto. In pochi giorni era tornata la speranza. E l’allora neo presidente, Faustin-Archange Touadera, era stato ricevuto in udienza nella Santa sede durante il suo primo viaggio ufficiale fuori dal Continente. Nei mesi successivi, nonostante una lunga serie di negoziati, il Centrafrica è però tornato a essere teatro di violenze. ( M.F.K.)
Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 24 dicembre 2020 © RIPRODUZIONE RISERVATA