Quei giovani che restano in Africa
DAKAR, Senegal - «Avevo provato a partire per l’Europa nel 2016. Ho raggiunto la Guinea Bissau per pagare la piroga che mi avrebbe portato in Spagna, ma i miei 400mila franchi Cfa (600 euro, ndr) non erano sufficienti. Il viaggio ne costava 600mila, quindi sono tornato indietro».
Landing Biaye, 25 anni, vive in un villaggio del comune di Adéan, situato nella regione meridionale senegalese della Casamance. Come decine di altri migranti di ritorno o potenziali migranti, è uno dei beneficiari del progetto 'Certitudes jeunes', 'Certezze giovani'. Il programma finanziato dall’Aics, l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo è implementato dall’Ong fiorentina, Cospe, insieme a un consorzio di altre organizzazioni non governative senegalesi e italiane, tra cui Cps e Mais.
L’obiettivo è aiutare i giovani ad avviare delle attività imprenditoriali legate soprattutto ad agricoltura, allevamento e commercio, dando loro un’opportunità lavorativa in loco. Prima di partire per Bissau, Landing guadagnava circa 50mila franchi al mese lavorando come raccoglitore di anacardi. Una volta risparmiato il denaro, senza dire niente alla sua famiglia e agli amici, ha raggiunto il luogo da cui partivano le piroghe per le Isole Canarie. «Ammetto che io, come molti altri migranti, non sapevo neanche dove stessi andando – continua il giovane senegalese –. Ma a- vevo sentito da amici, alla radio e nelle reti sociali che il viaggio era fattibile in alcuni mesi». Oggi Landing ha un allevamento di un centinaio di polli che vende nei villaggi o nel capoluogo regionale di Ziguinchor. Per il momento il desiderio di raggiungere l’Europa per aiutare economicamente la sua famiglia è svanito. Lo stesso vale per Khadidiatou Diagne, giovane senegalese della città costiera di Mbour. Grazie al progetto 'Certezze giovani' ha lanciato un’attività legata alla trasformazione di prodotti agricoli. Dietro casa sua, ha organizzato una stanza dove produce succhi con la frutta locale e prepara vari tipi di cereali comprati dai coltivatori nei campi attorno a Mbour. «Anch’io avevo il sogno di andare in Europa per guadagnare molti soldi e dopo due anni tornare in Senegal a investire – spiega Khadidiatou con il sorriso –. Ma grazie a questo progetto con cui ho ottenuto quello che cercavo, capisco che non vale più la pena di rischiare la vita per l’Europa».
Tra il 2014 e 2020, l’Unione Europea ha investito alcuni miliardi di euro per limitare la migrazione di africani verso il Vecchio continente e rimpatriare nei Paesi d’origine decine di migliaia di migranti. In Senegal, come in molti altri Paesi, diversi migranti dicono oggi di voler partire attraverso 'la via legale'. Un obiettivo che potrebbe richiedere anni a causa della complessa documentazione richiesta dalle ambasciate per ottenere un visto europeo. Sono quindi ancora numerosi i cittadini africani che, invece, scelgono la strada più pericolosa. Nelle ultime settimane centinaia di persone provenienti da gran parte dell’Africa occidentale hanno ricominciato a partire con le piroghe da posti come Mbour, nel sud del Senegal, e Kayar, nel nord, per raggiungere le Isole Canarie. Altri stanno invece attraversando il Sahel e il Sahara per arrivare in Libia o Algeria.
Anche a causa della pandemia di coronavirus, le autorità ammettono di avere altre priorità rispetto alla necessità di fermare la migrazione. Negli ultimi mesi, infatti, l’economia africana ha subito un duro colpo. Il settore dei trasporti, vitale per la distribuzione di vari tipi di merci, ha iniziato a riprendersi solo recentemente. Il turismo, invece, non si è ancora sollevato a causa di improvvisi licenziamenti, chiusura di strutture, e della difficoltà di viaggiare per gli stranieri. Nelle località del Senegal come Ziguinchor, Tambacounda, Kaolak e Mbour la realtà economica e sociale si è radicalmente aggravata. Gran parte dei senegalesi accusano il governo di alti livelli di corruzione e di non volere uno sviluppo intelligente del Paese. Tra i progetti in corso più controversi, per esempio, c’è la costruzione di un grande porto nella località di Ndayane, parte della regione di Mbour, finanziato dalla società DP World di Dubai. «Le autorità permetteranno la distruzione dell’ecosistema e lo sfratto delle famiglie che vivono a Ndayane – affermano gli ambientalisti locali –. Tutto ciò promettendo numerosi posti di lavoro che, come con progetti passati, non verranno mai offerti».
La stessa Casamance resta una zona rigogliosa, ma assai povera. Sebbene sia ancora in corso una delle più vecchie ribellioni del continente, il governo senegalese non sembra intenzionato a intervenire per migliorare la vita dei residenti. «Voglio andare in Europa perché qui è troppo duro, non c’è lavoro e devo in qualche modo aiutare la mia famiglia – afferma Boubacar Badji, tassista di 33 anni, il quinto di cinque figli, di cui solo uno ha un lavoro stabile per aiutare il padre malato di Parkinson –. Sono cosciente dei rischi rispetto al viaggio, ma quando non hai niente, non hai neanche niente da perdere».
Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 28 ottobre 2020 © RIPRODUZIONE RISERVATA