L'allarme delle Ong africane: «Raggiungere i pazienti è più difficile»
DAKAR, Senegal - Oltre 6.400 casi e almeno 175 morti. L’intero continente africano sta adottando misure sempre più restrittive per contenere i contagi della pandemia di coronavirus che, in pochi giorni, potrebbe estendersi a ogni Stato dell’Africa. Per questo le organizzazioni non governative stanno richiedendo un maggiore sforzo da parte della comunità internazionale. «Oggi la sfida principale che dobbiamo affrontare è la mobilità», spiega ad Avvenire il dottor Moumouni Kinda, a capo delle operazioni dell’organizzazione umanitaria, Alima: «Numerose frontiere dei Paesi africani sono chiuse, quindi è sempre più difficile fare arrivare sul posto il personale medico maggiormente qualificato, come del resto sta succedendo anche nei Paesi più sviluppati». Inoltre – continua Kinda – «è necessario un coordinamento delle autorità locali e internazionali per istituire dei corridoi umanitari di modo che anche il materiale medico raggiunga le aree in cui operiamo ». In molti Paesi africani, materiale come i respiratori e i letti adibiti alla terapia intensiva si possono contare sulle dita di una mano. In zone di conflitto come in Centrafrica, dove sono stati registrati otto casi, sembra siano solo tre i respiratori, tutti nella capitale, Bangui. Sarebbe comunque impossibile avere cifre certe riguardo all’espandersi del virus in Africa. Gran parte dei Paesi presentano dei rischi troppo alti per potersi muovere in alcune regioni del territorio anche con una scorta armata. Una simile situazione la si vive in Mali (31 casi e tre morti), Repubblica democratica del Congo
(123 casi e 11 morti), Burkina Faso (288 casi e 16 deceduti), Somalia (cinque casi), e Sud Sudan, quest’ultimo uno dei sei Stati africani su 54 a non aver registrato neanche un contagio. «Siamo preoccupati visto che abbiamo la guerra, solo due mesi di scorte di cibo e il 23 aprile inizierà il periodo di Ramadan in cui aumenteranno le tensioni», racconta invece una fonte sotto anonimato dalla capitale somala, Mogadiscio: «Non possiamo sapere chi ha il Covid-19 perché non abbiamo materiale con cui testare le persone».
Gran parte della popolazione africana è terrorizzata dal coronavirus. I governi hanno quindi emanato delle direttive rispetto a isolamento, coprifuoco, chiusura delle frontiere e sospensione di diverse attività imprenditoriali. Ma in alcuni Stati tali misure sono state imposte in modo violento, provocando già l’uccisione di almeno due persone in Kenya, e il ferimento di decine di civili in Uganda e Sudafrica. «Voglio scusarmi per alcuni probabili eccessi della polizia – ha dovuto dichiarare il prsidente Uhuru Kenyatta in un discorso alla tv –: ma dobbiamo lavorare insieme per trovare una soluzione a questa crisi».
Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 3 aprile 2020 © RIPRODUZIONE RISERVATA