«In Nord Uganda la quarantena uccide più della malattia»
DAKAR, Senegal - «Dovremo ormai imparare a convivere con il coronavirus », affermano in questi giorni vari capi di Stato africani, i cui governi hanno iniziato un parziale alleggerimento delle misure d’isolamento per la popolazione. Nonostante i rischi legati alla riapertura di imprese, luoghi di culto e frontiere,
c’è chi considera le norme di lockdown molto più dannose della pandemia stessa. «L’isolamento non permette ancora la circolazione regolare delle persone attraverso l’uso di taxi, moto– taxi o bus», racconta ad Avvenire padre Elio Croce, missionario comboniano in Uganda settentrionale dagli anni Settanta.«Molta gente non arriva all’ospedale e molte strutture sanitarie non hanno più scorte di sangue. A causa della mancanza dei trasporti – continua il religioso –, malattie come la malaria stanno causando molte vittime. Il lockdown sta facendo più morti del coronavirus».
In Uganda, su oltre 65mila tamponi, sono circa 140 i casi positivi, in gran parte asintomatici. Nessun morto è stato ancora registrato mentre sono 55 i pazienti guariti. Invece, sembra che tale crisi sia sempre più strumentalizzata dalla politica locale con l’obiettivo di mantenere al potere Yoweri Museveni, presidente ugandese dal 1986. Quest’ultimo ha dichiarato che: «Le elezioni di inizio 2021 potrebbero essere posticipate a causa del Covid–19». Intanto, gran parte della popolazione rischia la vita a causa dei blocchi ancora in vigore. «Sto cercando di aiutare tanti ricoverati all’ospedale Lacor di Gulu perché sono rimasti tagliati fuori dai loro villaggi senza più nessun parente che possa portargli da mangiare – conclude padre Elio –. Per fortuna molti orfani che ho assistito negli anni, ormai adulti, mi stanno mandando i loro contributi fatti soprattutto di farina, fagioli, sapone e pannolini. In questi gesti si legge la mano della Provvidenza».
Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 15 maggio 2020 © RIPRODUZIONE RISERVATA