Corruzione, jihadisti e Covid. «Il presidente Keita deve lasciare»

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DAKAR, Senegal - Sembra ormai una questione di giorni. Il presidente maliano, Ibrahim Boubacar Keita (Ibk), ha perso la fiducia del suo popolo che lo accusa di aver portato il Paese ai massimi livelli di corruzione e instabilità politica. Una situazione resa ancora più fragile dalle restrizioni dovute alla pandemia di coronavirus che stanno mettendo in ginocchio l’economia e avvantaggiando l’offensiva jihadista. «Il presidente deve andarsene – ha detto alla stampa Cheick Oumar Sissoko, intellettuale e membro dell’opposizione – insisteremo con la disobbedienza civile e l’occupazione di varie località strategiche fino a quando non saremo ascoltati ». Eletto per un secondo mandato di cinque anni nel 2018, Ibk ha il sostegno della Francia, l’ex potenza coloniale intervenuta militarmente nel 2013 per bloccare l’avanzata jihadista verso sud. Da alcune settimane, però, decine di migliaia di civili sfidano il divieto di assembramento legato alla pandemia di Covid-19 e manifestano ogni venerdì attorno al Monumento dell’indipendenza nella capitale, Bamako. Le proteste sono state organizzate dal Movimento 5 giugno–rally delle forze patriotiche (M5–Rfp), il cui leader è Mahmoud Dicko, un imam controverso, ex alleato del presidente e molto vicino ai militanti islamici che stanno occupando il nord dall’inizio della crisi nel 2012.«La situazione relativa alla sicurezza è sempre più preoccupante – ha dichiarato Michelle Bachelet, Alto commissario Onu per i diritti umani –. Gruppi di jihadisti, milizie etniche e militari sono responsabili di centinaia di uccisioni ». Con circa 2mila casi e 113 decessi, la pandemia

di coronavirus ha permesso ai militanti islamici di consolidare le proprie posizioni sia a nord che nelle regioni centrali, attaccare e uccidere ripetutamente decine di soldati maliani, francesi e caschi blu dell’Onu, oltre a sequestrare tre mesi fa il leader dell’opposizione, Soumaila Cissé.

Sono invece numerosi gli ostaggi stranieri, tra cui gli italiani padre Gigi Maccalli e Nicola Chiacchio, ancora nelle mani di varie fazioni alleate ad al-Qaeda o allo Stato islamico. «Preghiamo la popolazione di mantenere la calma – ha detto settimana scorsa Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu –, e il governo di avviare un dialogo con l’opposizione». L’Unione africana ha invece proposto la «riorganizzazione di nuove elezioni legislative», dopo quelle di marzo marcate da gravi irregolarità e difficoltà logistiche. «Il Mali sta attraversando una crisi di legittimità – sostiente Baba Dakono, analista politico maliano –. Pochi si sentono rappresentati dai loro dirigenti politici». L’Accordo di pace di Algeri firmato nel 2015 non sta dando i suoi frutti. I gruppi separatisti, jihadisti e le autorità non hanno alcun interesse a mettere in atto le basi di tale accordo, poiché ognuno pensa alla sua fetta di territorio da conquistare.

Il Mali, ricco di oro e ingenti riserve di gas e petrolio ancora inesplorate, ha registrato ribellioni armate dei tuareg del nord fin dall’indipendenza nel 1960. Un governo di unità nazionale, infatti, resta ancora una realtà molto lontana dall’avverarsi.

Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 30 giugno 2020 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Matteo Fraschini Koffi - Giornalista Freelance