Così Tokyo fa sorgere il Sol Levante in Africa Investiti 24 miliardi per battere Usa e Cina
LOMÉ, Togo - «Siamo impegnati in una 'diplomazia commerciale'». Così il primo ministro giapponese, Shinzo Abe, lanciò nel gennaio del 2014 la sua visita in Costa d’Avorio, Etiopia e Mozambico , con l’intenzione di aumentare radicalmente gli scambi commerciali tra Giappone e Africa. Era infatti dal 2005 che un leader politico giapponese non visitava il continente nero ed era la prima volta che veniva preso di mira un Paese francofono. «Contrariamente a ciò che si pensa, il Giappone sta investendo in Africa in modo più attivo rispetto alla Cina», dichiara un rapporto di marzo 2015 redatto da Linklaters, uno studio di avvocati specializzati negli affari commerciali internazionali. «Sui circa 4,2 miliardi di dollari erogati dai maggiori Stati asiatici per diversi progetti africani durante l’ultimo anno – afferma il rapporto –, 3,5 miliardi venivano dal Giappone. Questo significa che il Paese del Sol Levante ha investito tre volte più che la Cina ». A giugno del 2013, Abe aveva già confermato una cifra di 24 miliardi di dollari per sostenere la crescita africana durante i prossimi cinque anni. «Di questi 24 miliardi, 10 serviranno per lo sviluppo pub- blico – ha sottolineato Abe – e 5 miliardi per la costruzione di infrastrutture». Da qualche anno il Giappone è stato superato dalla Cina, ora seconda dietro agli Stati Uniti, in qualità di economia più grande al mondo. Per questo Tokyo ha deciso di puntare sempre di più sul continente nero, un’area da dove poter importare materie prime e verso la quale esportare prodotti e 'know how'. «In Africa il Giappone segue un approccio molto discreto – commenta Andrew Jones, direttore del dipartimento africano presso Linklaters –. Quando infatti si tratta di investimenti cinesi, la copertura mediatica è ben maggiore ». Secondo Yoshihiko Isozaki, viceministro giapponese dell’Economia, l’Africa è «il punto di partenza per il rifornimento delle risorse minerarie necessarie per i nostri servizi elettronici e automobi-listici ». Isozaki ha anche promesso mille borse di studio per africani desiderosi di essere formati in Giappone. Tra le principali aree d’investimento minerario, ci sono i siti sudafricani della provincia di Northern Cape, noti per le grandi quantità di manganese sfruttate dalla Japan oil, gas and metals national corporation (Jogmec). «Attraverso le imprese giapponesi – ha detto il presidente sudafricano, Jacob Zuma – dobbiamo cogliere l’occasione per creare con loro un mercato comune e lanciare lo sviluppo industriale e delle infrastrutture ». Il Giappone non investe solo in Mozambico, Nigeria, Etiopia e Sudafrica, ma anche nella regione del Sahel, in Stati come Niger e Mali, e sulla costa dell’Africa Occidentale, come in Ghana e Togo. Inoltre, dopo aver iniziato a utilizzare nel 2009 la base militare americana di Camp Lemonniere a Gibuti, dal 2011 si trova sul territorio gibutino l’unica base militare nipponica presente all’estero. «Era il 1993 quando, per primi in Asia, i giapponesi riconobbero l’importanza di instaurare solide relazioni commerciali con l’Africa – spiega Harry Broadman dell’università Johns Hopkins –. Per questo venne lanciata la Conferenza internazionale di Tokyo per lo sviluppo dell’Africa ( Ticad)». Mentre prima tale ritrovo avveniva ogni cinque anni, ora si sussegue ogni tre. Il prossimo quest’anno in Kenya.
DA SAPERE/Il Giappone a Gibuti con una base militare
Il Giappone ha scelto Gibuti per instaurare la sua prima base militare dopo la seconda guerra mondiale. «Qui avremo l’unica base fuori dal nostro Paese e la prima in Africa – affermava nel 2011 Keizo Kitagawa, capitano della forza navale giapponese e coordinatore del dispiegamento a Gibuti – . Siamo qui per combattere la pirateria e per la nostra difesa». Le relazioni diplomatiche tra il Giappone e Gibuti furono consolidate nel 1980. In seguito furono diverse le visite dei leader politici gibutini nel Paese del Sol Levante. Tokyo, che paga circa 30 milioni di dollari all’anno al governo gibutino, si è detto soddisfatto dell’appoggio aereo e portuale dell’area, oltre alla stabilità politica del Paese. Si stima che ci siano qualche centinaio di soldati membri del personale della Maritime self-defense force (Msdf) di stanza a Gibuti, vicino all’aeroporto internazionale. La Forza navale nipponica continua così a fare da scorta alle navi che passano dal Golfo di Aden, circa 20mila ogni anno.
Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 24 gennaio 2016
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