Matteo Fraschini Koffi, reporter tra due continenti

MATTEO_mia_foto.jpg

Matteo Fraschini Koffi è uno dei pochi giornalisti italiani specializzati sull’Africa a vivere stabilmente nel continente. Nato a Lomè, viene adottato da una famiglia italiana e cresce a Milano. Tornato in Togo a 24 anni, dopo tre mesi di indagini sulle sue origini scrive il suo primo libro e decide di trascorrere il resto della sua vita in Africa. Collabora con testate italiane ed estere tra cui Avvenire, RAI, RTSI, L’Espresso, DPA occupandosi esclusivamente di Africa Subsahariana, dove vive dal 2005. Dal 2020 è basato a Dakar (Senegal).

Per una volta, è stato l’intervistato anzichè l’intervistatore.

Chi è Matteo Fraschini Koffi?

Una persona determinata a far conoscere la mia realtà africana alla mia realtà italiana. Ho sempre agito con l’obiettivo di soddisfare prima la mia curiosità e poi quella degli altri.

Sono un giornalista freelance e da quasi quindici anni lavoro tra Europa e Africa basato tra Togo, Kenya e oggi Senegal.

Nel baratro di ignoranza in cui rischia di precipitare l’Italia, credo sia fondamentale far conoscere meglio il continente africano.

Ti capita di essere consideratoafricano” in Italia ed “europeo” in Africa. In quali situazioni questa doppia identità costituisce una ricchezza? 

Con il tempo mi pesa sempre meno: ho imparato a gestire le delusioni in entrambe le situazioni. A sfruttarle. A volte anche a riderci sopra.

Ho sempre avuto l’ambizione di poter rappresentare una sorta di ponte tra i due mondi, quello africano e quello europeo, facendo comprendere ai miei interlocutori gli aspetti positivi e negativi di entrambi i contesti.

In maniera più pratica mi capita spesso di passare inosservato in contesti africani e di andare dove altri colleghi, perchè di un altro colore di pelle, a volte non possono andare…

In Italia, grazie a questo ho potuto “infiltrarmi” in una baraccopoli in Puglia e raccontare il fenomeno del caporalato per il quotidiano Avvenire.

Con quei reportage ho vinto il Premiolino 2016 (il più prestigioso premio giornalistico italiano) e scritto “Campi d’oro rosso. Nel «ghetto» di Rignano“.

Cos’hai imparato da quell’esperienza?

Vivere nella baraccopoli fingendosi un bracciante in cerca di lavoro è come vivere in un microcosmo africano impiantato in Italia.

Le dinamiche tra migranti sono molto complesse, e la presenza della criminalità organizzata si sente ovunque. C’è un vuoto dell’autorità dello Stato e, troppo spesso, bisticci tra le varie associazioni (politiche, sindacali, umanitarie) che dovrebbero essere dalla stessa parte.

Ricordo per esempio che i sindacati facevano a gara tra chi era più vicino alla famiglia di un bracciante sudanese morto a Nardò: c’era chi voleva organizzare il funerale, chi la fiaccolata e chi il rimpatrio della bara. Insomma, ognuno voleva mettere la sua bandierina sfruttando la drammatica sorte del defunto.

In due parole, uno scempio.

Matteo Fraschini Koffi
[Ph: Yaye Nabo Sene/OCHA]

Quali progetti ti piacerebbe sviluppare in futuro?

Il futuro è ora! Come giornalista scrivo, fotografo e faccio radio per testate italiane e internazionali.

Da alcuni anni sto cercando di documentare al meglio la morfologia dell’economia africana, una storia grande e complicata che voglio continuare a seguire.

Al momento sto inoltre scrivendo un altro libro che racconta la relazione tra Italia e Somalia attraverso la storia di un ragazzo. Preferisco dire poco perchè si tratta di un caso molto delicato e non voglio mettere a rischio la vita di questa persona e il progetto stesso.

Cosa ami di più della vita in Senegal? Cosa trovi più faticoso?

Dopo Nairobi e Lomè, oggi vivo a Dakar con la mia compagna Akusua e i nostri figli Sahel e Tsavo.

Da un lato Dakar è una delle tante brutte copie delle metropoli globali, dall’altro ha comunque il suo fascino.

Amo specialmente gli aspetti più “imperfetti” di vivere in una grande città africana: rappresentano un grande stimolo di riflessione e discussione. Sono quegli aspetti in grado di migliorarti come essere umano. Quasi tutti i problemi qui sono seri, al contrario di altre “civiltà” in cui gran parte dei problemi sono altamente futili e ti fanno sprecare tempo, soldi ed energie.

Il coronavirus ha cambiato un po’ di cose, ma è bello vivere circondati dall’oceano e incontrare persone di ogni Paese. Purtroppo ci sono i soliti scompensi socio-economici che si riscontrano ormai in quasi tutte le grandi metropoli del mondo.

Matteo Fraschini Koffi
Matteo Fraschini al ViA Meetup Firenze 2019

Qual è il tuo segreto per vivere e lavorare nei contesti africani?

Bisogna nutrire le proprie passioni, superare la paura e soddisfare la curiosità per la natura umana.

A mio parere l’Africa è unostato mentale” in cui passato, presente e futuro s’incontrano e si scontrano ogni minuto, generando innumerevoli opportunità per capire se stessi.

Inoltre, grazie a un numero ridotto di “distrazioni” rispetto all’Occidente, si può iniziare a comprendere il reale senso della nostra vita. Sempre che ce ne sia uno…

Vedo sempre più giovani di origine africana che, dopo anni trascorsi in Europa o nel mondo, sentono il desiderio di tornare alle proprie radici. Il futuro qui sarà creato da queste persone, insieme ai giovani locali che stanno imparando a conoscere meglio il proprio passato e dunque il presente.

Consigli di lettura per conoscere l’Africa Occidentale?

Leggere tutto: libri, giornali, siti internet, per costruirsi il proprio Internazionale.

Al momento sto affrontando uno ad uno gli oltre 50 libri che hanno vinto il Gran Premio letterario dell’Africa Nera, legato soprattutto all’Africa francofona.

Comincerei con “…e domani l’Africa” del togolese Edem Kodjo, veterano della politica panafricana recentemente scomparso.

Tags: attualità biografia

Matteo Fraschini Koffi - Giornalista Freelance