Carestia, il Sahel muore e il mondo non si muove

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LOMÉ (TOGO) - Borno, Adamawa e Yobe. Non sono solo remoti Stati federali, teatri del conflitto civile di matrice jihadista che infiamma il nord-est della Nigeria . Sono anche regioni in cui si sta consumando nel silenzio una delle più gravi crisi umanitarie degli ultimi decenni. È qui che gran parte dei 5,2 milioni di nigeriani soffre di insicurezza alimentare. «La situazione nel Sahel è destinata ad aggravarsi a partire da questo mese di giugno», afferma un recente rapporto delle Nazioni Unite. E nell’intera regione subsahariana il totale delle persone minacciate dalla carestia è ormai vicino ai 26 milioni. «Diminuiranno le riserve di cibo in gran parte dei Paesi colpiti, soprattutto nella regione del Lago Ciad e nel nord del Mali. Inoltre – continua lo studio –, le persone sfollate e l’insicurezza in varie aree peggioreranno i livelli delle condizioni alimentari. Di conseguenza ci sarà un aumento del numero di civili in fase di crisi e emergenza». Secondo le stime «oltre 9,6 milioni di persone si trovano da tre mesi in una situazione d’urgenza». Con il prossimo trimestre le cifre si alzeranno fino a raggiungere i «13,8 milioni». Tali risultati, però, rappresentano solo una piccola percentuale della popolazione analizzata in 16 Paesi saheliani colpiti dalla crisi. «La mia più grande preoccupazione ora è la fame – ha detto alla stampa Toby Lanzer, a capo del coordinamento umanitario dell’Onu per l’intero Sahel –. Resta comunque difficile stimare quanti esseri umani periranno per mancanza di cibo durante i prossimi mesi». In un Paese come la Nigeria, dove i militanti islamici di Boko Haram combattono da otto anni per istituire un califfato, le condizioni dei civili sono sull’orlo di una «morte imminente». Gli scontri e gli attentati terroristici – oltre a mietere vittime in modo diretto – bloccano l’accesso a varie regioni dove sono urgenti gli aiuti umanitari. Drammatica anche la situazione in Niger: «Gli abitanti che soffrono di crisi alimentare sono passati da 748mila a 1,3 milioni in questi giorni – affermano le organizzazioni umanitarie che lavorano nel Paese ai cancelli d’entrata del Sahara –. Tra le più gravi regioni c’è quella di Diffa dove gli abitanti sono rimasti vittime anche di epidemie di meningite e epatite E». Nonostante una stagione agricola soddisfacente nell’ultimo anno, il Niger si è ritrovato con un deficit alimentare di oltre 12 milioni di tonnellate, ossia il 48% del fabbisogno nazionale. «L’insicurezza nelle zone orientali del territorio, le inondazioni e la malnutrizione – spiegano le autorità –, tutte hanno contribuito ad aggravare le condizioni alimentari dei più vulnerabili ». Nel pericoloso bacino del lago Ciad su oltre nove milioni di sfollati, «più di 7,1 milioni sono affetti da una grave insicurezza alimentare». In questa regione, dove si incontrano le fron- tiere di Ciad, Camerun, Niger e Nigeria, la gente non ha cibo, gran parte del bestiame è morto e l’accesso all’acqua è un lusso. Gli eserciti di questi Paesi stanno inoltre combattendo, con alterni successi, i miliziani di Boko Haram. E la violenza dilaga: ieri un doppio attacco kamikaze a Kolofata, nel nord del Camerun, in un campo di profughi fuggiti da Boko Haram, ha provocato 9 morti e 30 feriti. Sono però molti altri i teatri di guerra causati dalla miopia dei loro leader, accusati dalle organizzazioni internazionali di avere una «grande responsabilità » per tale crisi. «Quella in corso in Sud Sudan, per esempio, è una catastrofe provocata dall’essere umano – ha commentato Mark Toner, portavoce per il Dipartimento di Stato Usa –. È la conseguenza diretta di un conflitto prolungato dai leader sudsudanesi incapaci di privilegiare il bene della popolazione». È qui che lo scorso febbraio è stata dichiarata la carestia per la prima volta negli ultimi sei anni, da quando fu la Somalia ad esserne vittima nel 2011. Anche in Africa orientale, infatti, le condizioni della popolazione sono allarmanti. «Facciamo appello alla comunità internazionale affinché la gente non muoia per mancanza di cibo», erano state le parole di Dominik Stillhart, a capo delle operazioni per il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr), durante la sua recente visita in Somalia, dove nella precedente carestia morirono 250mila persone. Nel Corno d’Africa 6 milioni di civili hanno urgente bisogno di cibo. E i prezzi dei prodotti alimentari sono aumentati radicalmente in varie zone. In Kenya, la più forte economia della regione, il governo ha ricevuto forti pressioni affinché venissero rimossi «gli ostacoli commerciali» interni ed esterni. Mentre in Etiopia, dove «la crisi sta colpendo almeno 7,7 milioni di persone e milioni di animali “domestici”», si stima che «oltre 600 scuole hanno chiuso e l’istruzione di 5 milioni di bambini è a rischio».

L’intervista / «Sul lago Ciad si consuma una vera catastrofe» «La crisi nel bacino del lago Ciad ha provocato circa 2,5 milioni di sfollati. Dopo la Siria, è quindi la più importante crisi di profughi a livello mondiale e quella che cresce più velocemente. Si sta consumando una catastrofe». A lanciare l’allarme è Coumba Sow, coordinatrice in Africa occidentale e Sahel per l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao). In quest’area uno degli ostacoli principali è l’accesso per i media e le organizzazioni umanitarie che devono confrontarsi con un altissimo livello di insicurezza causato dalla minaccia jihadista.

Qual è la situazione dei bambini legata all’insicurezza alimentare in queste regioni? Lo stadio nutrizionale delle popola- zioni colpite è particolarmente preoccupante. Si stima che dal 2017 siano circa 515mila i bambini affetti da malnutrizione acuta grave (Mas). Nello stesso periodo l’anno scorso erano 175mila. Secondo le ultime inchieste, i tassi di malnutrizione acuta globale (Mag) sono superiori del 10 per cento intorno alle regioni del lago Ciad. In Nigeria, per esempio, il tasso di Mag è del 9,5 per cento mentre di Mas è del 2,6 per cento. Negli Stati federali di Borno e Yobe ci sono sacche di malnutrizione acuta molto elevati, notizie che abbiamo potuto confermare solo negli ultimi giorni poiché quella zona è stata in gran parte inaccessibile per tanto tempo.

In che modo i governi della regione stanno cercando di affrontare tale crisi? I governi dei quattro Paesi colpiti, Camerun, Ciad, Niger e Nigeria, si sono mobilitati per rispondere ai bisogni delle popolazioni affette e per lanciare varie iniziative umanitarie appoggiate dalla Fao e dal Programma alimentare mondiale (Pam). Per esempio in Nigeria l’Agenzia nazionale per la gestione delle emergenze (Nema) e l’Agenzia degli Stati federali per le emergenze (Sema) sono in prima linea per portare viveri e beni di differente tipologia agli sfollati. Bisogna però far notare che questi territori devastati dai conflitti hanno alla radice gli effetti del cambiamento climatico e anche una totale assenza di investimenti nei settori agricoli e rurali. È quindi fondamentale che i governi locali agiscano con l’obiettivo di intervenire finanziando progetti sostenibili legati all’agricoltura e allo sviluppo.

In quali termini la Fao riesce a collaborare con le autorità locali della regione? Esistono dei legami molto stretti e un dialogo continuo tra la Fao e le autorità governative. Lo ha ribadito il direttore della Fao, Graziano Da Silva, insieme al primo ministro ciadiano durante la sua visita in Ciad avvenuta lo scorso aprile. Le loro discussioni erano mirate ai pochi mezzi che hanno gli abitanti maggiormente dipendenti dall’agricoltura, l’irrigazione e la pesca. La situazione è grave poiché negli ultimi cinquant’anni il lago Ciad ha perso il 90 per cento della sua massa d’acqua . Mentre in Nigeria, Da Silva ha incontrato alcuni alti funzionari governativi con cui ha discusso della disoccupazione giovanile nel settore rurale, il rafforzamento della resilienza delle persone più vulnerabili e la nutrizione dei bambini. Per la Fao i primi partner nei Paesi in questione sono i ministeri dell’agricoltura, subito dopo vengono gli organi decentralizzati dello Stato.

Quali saranno le vostre operazioni future? La Fao ha sviluppato una strategia triennale per migliorare la sicurezza alimentare e la nutrizione nel bacino del lago Ciad, e rafforzare la resilienza delle comunità più colpite. I fondi necessari sono di circa 232 milioni di dollari per i quattro Paesi con l’obiettivo di assistere 3 milioni di persone, in particolar modo donne e giovani.

CIAD / Mentre al momento sono 2,3milioni le persone che soffrono di insicurezza alimentare, si stima che con il prossimo trimestre si raggiungerà una cifra superiore ai 3,5 milioni. Tra questi ci sono anche 300mila cittadini ciadiani con un «alto rischio di morire di fame» in questi giorni. «Il Ciad è teatro di una grave crisi umanitaria interconnessa – hanno sottolineato le Nazioni unite –. In tale contesto si registra infatti una povertà cronica, la continua minaccia terroristica (tantissimi gli sfollati dalla Nigeria per gli attacchi di Boko Haram), profughi interni ed esterni, e un debole sviluppo economico a livello nazionale». A tutto ciò si aggiunge l’isolamento internazionale del dittatore ciadiano, Idriss Deby, al potere dal 1990 e la difficile gestione di un Paese vasto come il Ciad che ha attorno a se le crisi di Libia, Centrafrica, Sudan, Niger e Nigeria e nord del Camerun.

SOMALIA / Secondo l’Unicef, sono almeno «1,4 milioni i bambini che soffrono di malnutrizione acuta in Somalia». Tale cifra è aumentata del 50% dall’inizio dell’anno. A causa del conflitto civile e di una gravissima siccità che imperversa da diversi mesi, oltre «680mila somali rimangono sfollati interni»'. Persino i jihadisti di al-Shabaab hanno adottato delle nuove misure per far fronte alla crisi nei territori che occupano. Ad alcuni abitanti è stato infatti permesso di partire per trovare soccorso in altre zone. Diverse regioni rimangono però inaccessibili alle agenzie umanitarie a causa dell’insicurezza. Per questo «epidemie come colera e meningite aumentano in gran parte del Paese», ha confermato nei giorni scorsi l’Organizzazione mondiale della sanità.

SUD SUDAN / In seguito alla carestia dichiarata in alcune zone del Paese lo scorso febbraio, il Sud Sudan è tra gli Stati più a rischio di un «fallimento umanitario». Il continuo conflitto per le risorse del territorio ricco di petrolio ha provocato «5,5 milioni di civili bisognosi di cibo». Secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, almeno «1,9 milioni di sudsudanesi sono sfollati interni e 1,7 sono fuggiti negli Stati limitrofi». Con poche pause in passato, la guerra in Sud Sudan dura da oltre 60 anni e si è aggravata in questi ultimi mesi, in seguito alla separazione dal Sudan avvenuta nel 2011. «Circa 220mila persone hanno cercato rifugio nelle nostre basi dall’inizio del nuovo conflitto nel dicembre 2013», afferma un recente comunicato della missione delle Nazioni Unite nel Paese, Unmiss.

 Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 3 giugno 2017

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Matteo Fraschini Koffi - Giornalista Freelance