Fiume di fango in Sierra Leone Almeno 300 vittime a Freetown
«È possibile che siano centinaia le persone morte sepolte sotto le macerie. È un disastro talmente spaventoso che io stesso mi sento completamente distrutto. Al momento stiamo cercando di recintare l’area e evacuare le persone». Victor Foh, vice-presidente della Sierra Leone, fatica a parlare. Una gigantesca frana, provocata da diversi giorni di intense piogge, ha messo ieri in ginocchio la capitale Freetown. È ancora difficile stimare l’esatto numero delle vittime, ma si teme che siano più di 300. «La tragedia è avvenuta nei sobborghi di Regent e Mortema», spiegava ieri il quotidiano The Sierra Leone Telegraph. «Parte di una collina è franata sulle case sottostanti. Con grandi difficoltà – continuava il giornale locale –, i soccorritori sono all’opera per cercare di recuperare le persone rimaste intrappolate dal fango nelle loro case». Secondo alcune fonti, l’obitorio dell’ospedale Connaught ha ricevuto almeno «200 cadaveri, di cui 60 di bambini». Sinneh Kamara, un tecnico che lavora con il personale medico, ha dichiarato alla televisione nazionale che «l’obitorio è troppo piccolo per contenere tutti i cadaveri». Anche il numero delle ambulanze è limitato, per questo sono stati richiesti altri mezzi dalle strutture sanitarie più vicine. Riuscire a girare per la città è però sempre più complicato. Parlando con l’emittente qatariota, al-Jazeera, Alfred Charles della Fondazione Healey International relief ha descritto la situazione come «disastrosa», con «edifici spazzati via dalla melma». Altre aree di Freetown sono state colpite, soprattutto Kissy Brook e Dworzak Farm, mentre circa «500 case sono state perse nelle comunità di Babadorie e Kanigo». Le autorità hanno fatto sapere che l’esercito «si è subito unito alla polizia e ai sopravvissuti nell’aiutare con i soccorsi». Molte persone restano però ancora isolate sotto le macerie. Diversi veicoli sono distrutti mentre gran parte delle strade rimangono ormai impraticabili da giorni. Inoltre, la pioggia continua a cadere. La visibilità è pessima e gli abitanti che vivono nelle aree più povere stanno cercando di salvare quello che possono rischiando la loro vita. Per i soccorritori ci sono comunque molti ostacoli per delle inondazioni che vengono regolarmente provocate non solo dalle piogge, ma anche dai sistemi di drenaggio mal costruiti. «Questa è una cosa assolutamente terribile – era il commento di un residente di Freetown –, che il Signore abbia pietà di noi». Questo cataclisma mentre la Sierra Leone sta ancora cercando di riprendersi dalla brutale guerra civile finita nel 2002. Le violenze, durate circa dieci anni, hanno causato tra i 50 e 300mila morti e oltre 2,5 milioni di sfollati. La popolazione è ancora traumatizzata dall’usanza dei ribelli del Fronte rivoluzionario unito (Ruf) di amputare diverse parti del corpo per imporre disciplina tra i suoi militanti, molti dei quali minorenni. Nel 2014 nel Paese è invece iniziata la crisi dell’ebola che in due anni ha ucciso 4mila persone e ne ha contagiate altre 15mila. Nonostante le sue ricchezze naturali, legate soprattutto ai diamanti, la Sierra Leone rimane uno dei Paesi più poveri nella regione. Il presidente, Ernest Bai Koroma, non è particolarmente popolare tra i circa 7 milioni di sierraleonesi poiché accusato di corruzione e di «gestire il Paese come se fosse un’azienda», ignorando le necessità della fascia più povera della società.
Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 15 agosto 2017
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