Il Congo senza pace: altro sangue nell’Est
Resta alta la tensione nel nordest della Repubblica democratica del Congo. Ci sono state vittime nei recenti scontri tra l’esercito congolese e quello ruandese , mentre la regione dell’Ituri è da giorni teatro di massacri di civili. E il numero di sfollati e rifugiati sta aumentando radicalmente. «Il bilancio è di sei soldati congolesi uccisi e altri quattro feriti -–ha confermato venerdì il generale Bruno Mandevu, comandante dell’offensiva militare contro gruppi di ribelli affiliati al vicino Ruanda –. Le Forze ruandesi sono però state fermate quando hanno invaso il territorio congolese ». Le autorità di Kigali, invece, smentiscono tali accuse, ribattendo che: «Gli scontri sono stati causati da un’infiltrazione dell’esercito congolese nell’ovest del Ruanda». Una “musica” già ascoltata più volte.
Più a nord, invece, nella provincia del-l’Ituri, diverse fonti in loco hanno denunciato l’uccisione di «decine di civili, in gran parte donne e bambini». Le attuali violenze sono le conseguenze di continui combattimenti tra la popolazione di etnia hema, in maggioranza pastori, e la comunità lendu, principalmente coltivatori. Uno scontro che spesso nasconde però ragioni “politiche” più profonde.
La Chiesa locale, la società civile e le agenzie umanitarie hanno condannato una serie di massacri avvenuti dal 2 al 10 febbraio nell’area di Djugu, vicino al capoluogo, Bunia. «Abbiamo documentato più di 76 civili vittime di attacchi all’arma bianca nell’Ituri», recitava un rapporto dell’Unicef venerdì scorso. «Siamo molto preoccupati per gli oltre 46mila bambini fuggiti a causa degli scontri tra gli hema e i lendu. Secondo le nostre informazioni – continuava lo studio –, oltre 70 villaggi sono stati incendiati, mentre tre centri di salute e sette scuole sono stati saccheggiati o distrutti».
Anche la diocesi di Bunia ha condannato con fermezza le violenze: «Siamo rattristiti dalla perdita di vite umane, beni, case e dalla destabilizzazione della popolazione – ha scritto in una lettera monsignor Dieudonné Uringi, ve- scovo di Bunia –. Ci rammarica capire che il popolo dell’Ituri non abbia ancora tratto insegnamento dalle guerre tra fratelli e sorelle avvenute tra il 1999 e il 2003». Secondo la Caritas di Bunia, sono «almeno 20mila gli sfollati interni e più di 60mila i rifugiati che hanno trovato soccorso nel vicino Uganda».
Un’associazione culturale costituita da persone di etnia hema ha, inoltre, criticato molto il comportamento dell’esercito congolese (Fardc) e della missione Onu nel Paese (Monusco). «I soldati inviati dal governo non stanno riuscendo a contenere le violenze mentre la Monusco non vuole intervenire per proteggere la popolazione – ha commentato Hadji Ibrahim Ruhigwa Bamarake, presidente dell’associazione Ente –. Gli hema sono oggetto, dallo scorso ottobre, di un piano genocidale da parte dei lendu, sostenuti da forze straniere».
Nel vortice di violenze che ha colpito settimana scorsa l’Ituri, le autorità in loco tendono a negare le stime riportate dalla società civile e dalle Nazioni Unite: le accusano di «gonfiare» il numero delle vittime. «È vero, ci sono stati dei morti – ha commentato Abdallah Pene Mbaka, governatore dell’Ituri –, ma 76 vittime sono troppe ed è necessario prima fare un lavoro di verifica evitando il sensazionalismo».
Una situazione quella del Congo, che per livello di gravità sta assumendo le proporzioni di quella del Sud Sudan. Due nazioni dilaniate da conflitti cronici, per le quali papa Francesco ha indetto per venerdì prossimo una «giornata di preghiera e digiuno». L’iniziativa è rivolta «anche a non cattolici e non cristiani», invitati ad unirsi insieme nella richiesta di pace.
Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE 18 febbraio 2018
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