Sudan/No al boia per la sposa bambina
LOMÈ, Togo - Noura Hussein vivrà. Alla giovane donna sudanese accusata di aver ucciso il marito che la violentava è stata annullata la condanna a morte . La corte d’appello di Omdurman le ha comminato una pena di cinque anni di carcere e una multa.
«Sono molto felice che abbiano risparmiato la vita di mia figlia», ha dichiarato ieri la madre, Zainab Ahmed. La vittima di almeno due aggressioni da par- te del coniuge e di altri suoi parenti dovrà però pagare alla famiglia del defunto una somma equivalente a oltre 7mila euro. «L’annullamento della condanna a morte è un fatto assai positivo », ha commentato ieri Seif Magango, vicedirettore di Amnesty international per l’Africa orientale, il Corno d’Africa e la regione dei Grandi laghi.
«Ora però occorrono riforme per assicurare che non vi saranno più casi come quello di Noura. Resta inoltre il fatto che – ha continuato Magango – cinque anni per una vittima di un attacco brutale da parte del marito sono una condanna sproporzionata. Le autorità sudanesi devono avviare un processo di riforma delle leggi sui matrimoni forzati e sullo stupro coniugale, in modo che in futuro non saranno le vittime a essere penalizzate». La giovane sudanese di 19 anni era stata data in sposa a 16 anni. La condanna inflittale in primo grado si era basata su una legge del 1991 che non riconosce lo stupro coniugale.
Il marito, Abdulrahman Mohamed Hammad, aveva 32 anni ed era suo cugino. «I suoi parenti mi tenevano ferma mentre lui mi violentava », aveva dichiarato Noura alla stampa attraverso i suoi avvocati. Nell’ultimo tentativo di stupro, la vittima ha accoltellato più volte il marito uccidendolo. Lo scorso 29 aprile Noura è stata quindi giudicata colpevole di «omicidio premeditato» e condannata all’impiccagione. Le organizzazioni per i diritti umani erano insorte: il gesto di Noura era stata «un atto di autodifesa». Anche la comunità internazionale era accorsa in difesa dell’ex sposa-bambina. Insieme ad Amnesty international, altre agenzie delle Nazioni Unite, politici e celebrità a livello mondiale avevano pubblicamente espresso il loro sostegno a Noura.
«Il nostro appello è stato parzialmente accolto con l’annullamento della condanna a morte emessa in primo grado », ha detto ieri Antonella Napoli, presidente di Italians for Darfur, un’organizzazione che ha raccolto un milione e 400mila firme per difendere la sudanese, arrestata dalle autorità dieci mesi fa. La pratica dei matrimoni forzati è molto diffusa in Sudan. Secondo un rapporto dell’Unicef, nel 2017 «un terzo delle sudanesi si sono sposate prima di compiere 18 anni».
Questa è anche una delle ragioni che spingono diverse ragazzine a migrare verso altri Paesi, abbandonando la famiglia. «Il matrimonio in Sudan si basa su una norma della sharia, la legge coranica, introdotta nel 1991 – affermano gli esperti –. Nel Paese ci si può sposare a partire dai 10 anni». Noura è stata data in matrimonio dal padre dopo che quest’ultimo aveva stipulato un contratto con il futuro marito. Quando è avvenuto il primo stupro, la giovane l’ha confessato alla madre dicendo di «odiare se stessa». Il secondo tentativo ha, invece, spinto Noura a difendersi e a parlare subito con il padre dell’accaduto. «L’uomo ha portato l’intera famiglia dalla polizia sperando che sua figlia potesse essere protetta – hanno spiegato i legali di Noura –. Invece la giovane è stata arrestata». Nonostante la riduzione della pena, gli avvocati della sudanese hanno riferito che faranno, comunque, ricorso alla Corte Suprema nei prossimi giorni.
Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 27 giugno 2018 © RIPRODUZIONE RISERVATA