Congo, in migliaia ostaggi nell’Est di ebola e miliziani
LOMÉ, Togo - La situazione è drammatica a nordest della Repubblica democratica del Congo. Nella regione del Nord Kivu la popolazione si trova nel mezzo di un’epidemia di ebola che continua a estendersi a macchia d’olio e un vortice di violenze causate dai differenti gruppi armati in lotta per il territorio e le materie prime. Le vittime della malattia sono salite a 75 e sono oltre un centinaio i casi di contagio già confermati. È una lotta contro il tempo aggravata dal conflitto civile in corso. «Il governo ha registrato la morte di 75 persone provocata dalla febbre emorragica – ha riferito ieri un comunicato del ministero della Salute congolese –. Sono invece almeno 111 i casi di contagio nell’instabile Nord Kivu».
I rapporti delle organizzazioni umanitarie che operano nella provincia di Beni, epicentro dell’epidemia, stanno denunciando da giorni «stupri, uccisioni e attacchi contro numerosi villaggi». Resta però difficile verificare tali informazioni a causa dell’insicurezza che dilaga in gran parte della regione. «I combattimenti tra circa 100 gruppi ribelli si sono intensificati», ha affermato recentemente un rapporto dell’Alto com- missariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur): interi villaggi sono stati dati alle fiamme e gli abitanti brutalizzati a colpi di machete. Inoltre – continua lo studio dell’agenzia Onu –, la violenza sessuale sulle donne è all’ordine del giorno, in particolare nei territori al confine con l’Uganda».
Una delegazione composta da alcune agenzie Onu ha visitato la zona all’inizio del mese e ha trovato «villaggi deserti, case incendiate e abbandonate». Per le strade della città di Beni sono oltre 32mila i rifugiati che vivono in «spaventosi accampamenti di fortuna» in attesa che ritorni un po’ di sicurezza nell’area. Da diverse settimane, infatti, la popolazione fugge verso luoghi considerati più sicuri. Secondo le autorità, oltre «mezzo milione di civili sono diventati profughi nel 2018» in un’area vicina al confine con il sud-ovest dell’Uganda. È qui che regnano le Forze alleate democratiche (Adf), una milizia di stampo islamista che dagli anni Novanta terrorizza congolesi e ugandesi con attacchi armati, rapimenti e l’imposizione di tasse sulla fetta di territorio che controllata dai militanti.
«Abbiamo avvisato le autorità rispetto agli attacchi lanciati dai guerriglieri delle Adf nella regione di Beni – ha detto alla stampa a inizio agosto Omar Kavota, a capo del Centro per la pace, la democrazia e gli studi dei diritti umani, un’organizzazione non governativa locale –. L’esercito, però, non vuole intervenire per ripulire l’area e smantellare le basi dei ribelli». Oltre ai gruppi armati, anche i militari regolari congolesi sono stati accusati di massacri contro la popolazione civile. Nella cittadina di Mangina, dove la decima epidemia nel Paese dal 1976 è scoppiata circa un mese fa, le agenzie umanitarie tentano di fare il possibile per raggiungere le comunità più a rischio. Son però settimane che le vittime continuano ad aumentare senza sosta. «L’obiettivo è di vaccinare contro ebola almeno 400 persone al giorno – ha raccontato Gwenola Seroux, responsabile delle urgenze presso l’organizzazione umanitaria Medici senza frontiere (Msf) –. È inoltre molto importante sensibilizzare la popolazione per prevenire una maggiore diffusione del virus». Tale crisi è attualmente aggravata anche dal periodo pre-elettorale appena iniziato in Congo. Dopo due anni di instabilità politica, il presidente uscente, Joseph Kabila, ha deciso di non presentarsi alle elezioni previste per fine dicembre. L’opposizione sta quindi cercando di unirsi per competere contro il candidato del governo, Emmanuel Ramazani Shadari, il quale, per il momento, sembra il favorito.
Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 29 agosto 2018 © RIPRODUZIONE RISERVATA