Nairobi, al-Shabaab esulta per le 21 vittime del raid
Lomé ( Togo) - E' salito a 16, più i 5 terroristi, il numero delle vittime nell’attacco jihadista di martedì a Nairobi. La capitale keniana, presa ancora una volta di mira dai terroristi somali di al-Shabaab, ha dovuto respingere la furia di cinque militanti islamici – gli ultimi due sono stati uccisi ieri mattina – in uno dei quartiere più frequentati da locali e stranieri nella città: Westlands. Ci sono volute almeno 18 ore per riportare la situazione alla “normalità”. Tra le persone uccise, in gran parte keniani, ci sono anche un cittadino statunitense e uno inglese. Apparentemente, i terroristi non erano lì solo per ammazzare chiunque trovassero. Volevano anche che i keniani si interrogassero sulla «carneficina in corso di cui, da vari anni, è responsabile il loro esercito ».
Non a caso, hanno rivendicato, esultando, l’attacco, che sarebbe stata una rappresaglia alla decisione del presidente americano Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come la capitale israeliana. «Perché voi uccidete i nostri fratelli e sorelle in Somalia? – ha detto uno dei militanti islamici a un cameriere nel ristorante del complesso alberghiero, Dusit Hotel –. La gente non va più alla madrassa (scuola islamica, ndr) da quando siete arrivati». La frase è stata pronunciata poco prima che i jihadisti iniziassero a sparare in modo indiscriminato contro la gente. Il cameriere è stato comunque risparmiato. I ribelli shabaab volevano probabilmente far passare questo messaggio al popolo keniano e alle autorità, le quali hanno confermato settimana scorsa che le Forze di difesa del Paese (Kdf) rimarranno nel sud della Somalia per un periodo indeterminato.
Sono ormai passati otto anni da quando l’esercito keniano ha invaso la regione meridionale somala con il pretesto di «rendere più sicuro il Kenya e i suoi abitanti». Dall’ottobre 2011, però, l’economia più grande dell’Africa orientale è stata teatro di centinaia di morti e numerosi attentati terroristici. Non solo nella capitale, ma anche in località tipo Garissa, nel nord-est, o sulla costa. L’attacco di ieri conferma la determinazione di al-Shabaab nel poter colpire quando e dove vuole. Inoltre, sembra ci sia stata una lunga preparazione prima dell’attentato. «Ho riconosciuto uno dei terroristi da una grande cicatrice che aveva sul braccio – ha spiegato sempre il cameriere alla radio locale, Capital Fm –. Li avevo serviti al tavolo due giorni prima dell’attentato».
Il Dusit Hotel era un luogo molto noto nel quartiere. Come succede per altri complessi di Nairobi, all’interno c’erano alberghi, ristoranti e uffici. Per questo non è stato facile evacuare in una sola volta tutte le persone in ostaggio dei militanti islamici. «Sono rimasto fino a notte fonda nascosto in una stanza dell’albergo – ha riferito uno dei sopravvissuti –. Avevo infatti sentito passare i terroristi nell’area in cui ero». Sebbene il capo della polizia, Joseph Boinnet, avesse dichiarato finita la caccia agli attentatori in tarda serata, la battaglia, iniziata alle tre del pomeriggio ora locale, è durata fino alla mattina dopo. «Si sentono ancora spari provenire dal Dusit», incalzavano con i messaggi sui social network i residenti della zona.
Negli ospedali il numero di morti e feriti è raddoppiato con il passare delle ore rispetto a martedì. Tra di essi c’è lo statunitense Jason Spindler, direttore di una società di consulenza, un sopravvissuto dell’attacco contro le torri gemelle. «È con il cuore infranto che annuncio la morte di mio fratello, Jason – ha dichiarato ieri alla stampa americana Jonathan Spindler –. Era un combattente, sopravvissuto all’11 settembre, e sono sicuro che ha dato del filo da torcere ai terroristi». L’Alto commissario inglese in Kenya, Nic Hailey, ha invece dichiarato che il corpo diplomatico britannico sta «provvedendo a dare supporto ai familiari e amici della vittima inglese».
Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 17 gennaio 2019 © RIPRODUZIONE RISERVATA