TOGO / Vite da ricostruire
Lomé, TOGO – Afua e Cecile hanno poco più di una decina d'anni di differenza.
Sono due bambine. Afua, la madre, ne ha appena compiuto dodici.
Cecile, la figlia, ha quattro mesi. Entrambe sono il sintomo di una
grave piaga che logora la società togolese. Afua è stata infatti
stuprata. Il responsabile è un tassista, suo vicino di casa. Dopo
averla incontrata per strada una sera, l’uomo l’ha convinta a salire
in auto. Sono bastati alcuni minuti per bloccarla nel sedile
posteriore e abusarne. “Non devi dire niente altrimenti gli spiriti
maligni si vendicheranno contro la tua famiglia”, le ha detto prima di
lasciarla davanti a casa. Per diverse settimane, infatti, Afua non ha
parlato. I dolori della gravidanza diventavano però sempre più forti.
Quando il medico l’ha esaminata, quasi non ci credeva. La vittima ha
raccontato lo stupro solo dopo la visita. Il padre ha detto
all’aggressore che avrebbe chiamato la polizia. L’uomo, però, è
scappato senza farsi più rivedere. “È stato davvero difficile dare una
notizia del genere – mi spiega Sylvain Sourma, assistente sociale
presso il centro Kekeli, un’associazione cattolica che opera in
diverse zone dell’Africa –. Come si può dire a dei genitori che la
loro bambina è incinta?”. Da oltre dieci anni, il centro Kekeli delle
suore carmelitane della carità Védruna segue centinaia di minori
vittime di tratta, traffico e abusi sessuali. L’aiuto del centro
rappresenta però solo una goccia nel mare. Tali ingiustizie, infatti,
colpiscono quotidianamente la vita di un numero imprecisato di bambini
in Togo. “La situazione di queste bambine-madri è molto dura e
complicata”, racconta Suor Gabrielle, originaria della Repubblica
democratica del Congo e, dal 2013, coordinatrice del centro.
“Cerchiamo di aiutare la vittima, a volte insieme alla famiglia, ad
accettare la sua situazione e a comprenderla. Però – continua la
religiosa –, parliamo di minori che non hanno ovviamente gli strumenti
per gestire una gravidanza o il neonato. Da un punto di vista fisico e
psicologico tale condizione crea un blocco dello sviluppo personale
difficile da oltrepassare”. Gli abusi possono essere perpetrati da
sconosciuti o membri della stessa famiglia. Per strada o in casa.
Elise è stata ripetutamente violentata da un suo coetaneo quando aveva
16 anni. Oggi ne ha 18 e una figlia di due anni, Marie. Insieme a
Sylvain la incontro in casa con i suoi genitori. Le abbiamo portato
del cibo e alcuni prodotti di vario genere. La famiglia è molto
povera. Elise era infatti stata affidata a una tutrice, una pratica
comune in Togo quando i genitori non hanno i mezzi per sostenere i
propri figli. La ragazzina continuava però a essere maltrattata. Fin
dall’alba, la tutrice le imponeva di aiutarla in casa, rubandole il
tempo e l’energia che Elise doveva invece utilizzare a scuola. Il
figlio della padrona ha iniziato a entrare durante la notte nella
stanza dove la vittima dormiva. Non è valso a nulla tentare di
chiuderla. Il ragazzo entrava e abusava. “Quando la tutrice si è
accorta che suo figlio aveva messa incinta Elise –
spiega Sylvain con davanti il dossier della vittima –, ha deciso di
cacciarla e perdere ogni contatto con la famiglia”. Il padre della
ragazzina, un meccanico sui cinquant’anni, ha gli occhi rossi. Ammette
di non essere riuscito a far giustizia per sua figlia. Da un punto di
vista legale, pur conoscendo l’aggressore, sono rare le volte in cui
un caso di violenza sessuale sui minori viene processato fino alla
fine. Oltre alle varie complicazioni, le minacce da parte
dell’accusato riescono spesso a intimidire la persona aggredita e i
suoi familiari. Chiedo a Elise il permesso di fotografarla con sua
figlia. La giovane madre prende improvvisamente la bambina e si
nasconde in camera. Dopo qualche minuto, Marie esce vestita da
principessa, tutta in rosa. Entrambe si mettono in posa. Fanny, 15
anni, è invece passata dal centro Kekeli insieme a sua figlia di soli
due mesi. Vivono però nella località meridionale di Vogan. È qui,
vicino al mercato della cittadina, che un signore anziano l’ha
violentata. La ragazza cerca di allattare la figlia mentre gli
operatori le parlano. “Ci vuole tempo per conquistare la loro
fiducia”, sottolinea Donatien Ayena, piscologo di Kekeli. “Con molta
dolcezza cerchiamo di capire cose è esattamente successo a queste
bambine. Non sempre ci riusciamo. Il centro però ha delle camere per
ospitare le vittime durante un massimo di tre mesi. Così – continua
Ayala – diamo loro la possibilità di raccontare e confrontare le
proprie disavventure. Creare una comunità sicura è un modo per
aiutarle ad aprirsi giorno per giorno”. Dopo alcune ore di bus verso
nord, arrivo in un villaggio vicino alla località di Sotubua.
Stephanie, 15 anni, deve ancora tornare da scuola. Sua figlia di sei
mesi è in braccio alla nonna. Gli assistenti sociali non hanno ancora
fatto chiarezza su questo caso. Per il momento è difficile capire il
corso degli eventi e gli attori coinvolti. Una cosa è certa, però,
Stephanie è fuggita di casa per diverse settimane. Voleva evitare un
matrimonio precoce. Il suo potenziale marito aveva 15 anni più di lei.
Dopo un breve soggiorno in Burkina Faso da una zia, la giovane è
tornata in Togo incinta. Una situazione irrisolvibile in caso si
cerchi risalire al responsabile dell’abuso per portarlo davanti alla
giustizia. Stephanie parla ancora troppo poco. “Ci sono diverse sfide
da superare nel settore giudiziario”, spiega Alex Meba, giurista del
centro. “Sia rispetto ai colloqui con i genitori della vittima che
spesso non vogliono andare avanti. Ma anche – continua Meba – con gli
agenti di polizia, i quali hanno numerose difficoltà a proseguire con
le loro investigazioni e arrestare i colpevoli”. La situazione diventa
ancora più complicata quando è un membro della famiglia ad essere
accusato di stupro. Come per Martine, 17 anni, violentata dallo zio. I
suoi genitori, per ragioni di povertà, sono emigrati qualche anno fa
in Gabon. La nonna faticava a gestire le dinamiche della famiglia che
vive in una baracca nel centro di Lomé. Tre anni fa è nato Kossi, un
bambino dallo sguardo sempre un po’ arrabbiato. E il cui prozio è
anche suo padre. “Con Martine è praticamente impossibile fare
giustizia – afferma Suor Gabrielle, alla continua ricerca di fondi per
sostenere le vittime –. In questi casi si tende ad ignorare la
violenza poiché c’è un legame di famiglia in questione”. Trovare
Christine è stato invece più complicato. A 16 anni, la giovane madre
vive e frequenta una scuola nel villaggio orientale di Afagnan, vicino
al confine con il Benin. Sua figlia di quasi tre anni, invece, vive in
un altro villaggio al confine occidentale con il Ghana. Se ne prende
cura il nonno, affetto da un tumore alla testa, e la sorella, malata
di depressione. Il centro Kekeli cerca di aiutare Christine pagandole
la scuola e qualcosa per la famiglia. Curare il padre e la sorella
costa invece troppo. Christine è stata violenta, quando aveva appunto
13 anni, da un autista di moto-taxi di cui si fidava. Questa volta,
però, il colpevole è stato trovato, arrestato e imprigionato.
Matteo Fraschini Koffi per NIGRIZIEA - Luglio/Agosto 2019