Mali: così Timbuctù è finita in mano ai jihadisti

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per Limesonline

(Carta di Laura Canali tratta da Limes 3/2011 "(Contro)rivoluzioni in corso")

Gli integralisti islamici di Ansar Dine hanno distrutto diversi mausolei a Timbuctù, in Mali. La città è ora preda del fondamentalismo e vive in un regime di occupazione, rimanendo il crocevia dei traffici illegali che attraversano il Sahara.

Erano appena passate le cinque di sabato mattina 30 giugno nella storica città di Timbuctù, quando alcuni uomini armati di kalashnikov cominciarono a sparare in aria annunciando il loro arrivo presso il cimitero di Sidi Mahmoud Ben Amar. Munitisi di asce e picconi, entrarono per prendere posizione attorno al mausoleo del santo e, all’urlo di “Allah-u-akbar” (Dio è grande), iniziarono a colpire il monumento con determinazione.

La medesima scena si ripeté poco più tardi nei cimiteri dei santi Sidi El Mokhtar e Alfa Moya dove vennero distrutti i rispettivi mausolei. I residenti non poterono che osservare impotenti e in stato di shock persino quando il gruppo di integralisti islamici prese di mira diverse tombe all’interno degli stessi cimiteri. L’operazione terminò verso l’una del pomeriggio, quando gli aggressori tornarono a pattugliare le strade di Timbuctù intenti a sedare con altrettanta ferocia ogni minimo cenno di protesta da parte della comunità locale.

In poco tempo, la notizia dell’attacco ai monumenti sacri arrivò a Parigi nella sede dell’Unesco, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’istruzione, la scienza e la cultura. Dal 1988 Timbuctù fa parte dei patrimoni mondiali protetti dall’Onu; per questo a causa del recente scoppio delle insurrezioni nel nord del Mali – e quattro giorni prima della gratuita aggressione ai cimiteri – la città era stata inserita nella lista dei tesori del mondo più a rischio.

“Non c’è alcuna giustificazione per una distruzione così insensata”, dichiarò con rabbia Irina Bokova, direttore generale dell’Unesco. “Il mio ufficio ha l’autorità di investigare in modo completo tale crimine di guerra”, fu invece la minaccia di Fatou Bensouda, procuratore generale della Corte penale internazionale.

Ma i jihadisti non si fecero intimidire. Il giorno dopo si diressero verso il cimitero della moschea di Djinguereyber dove danneggiarono altre tombe, mentre il 2 luglio distrussero la porta che conduceva nel santuario della moschea di Sidi Yahya. Secondo l’usanza locale, l’entrata del monumento doveva rimanere chiusa per sempre, la sua apertura avrebbe provocato la fine del mondo. “Avete visto, non c’è nessuna fine del mondo”, esclamarono davanti alla folla alcuni militanti.

Per i musulmani che seguono il salafismo, una tra le più dure e violenti correnti dell’Islam, l’idolatria non è permessa. Secondo i salafiti quindi la tradizione sufista di Timbuctù si oppone alle regole del tipo di sharia (legge coranica) dettata dall’integralismo islamico. Sebbene questa fosse la principale giustificazione delle distruzioni dei monumenti sacri, gli estremisti di Ansar Dine (letteralmente "difensori della fede") erano riusciti ad attirare una notevole attenzione da parte dei media, per la prima volta da quando avevano dichiarato l’occupazione del nord del paese nel marzo 2012. Il mondo, finalmente, li ascoltava e li prendeva sul serio.

Sempre a opera del fondamentalismo islamico, qualcosa di simile era già accaduto in Libia ed Egitto, senza dimenticare la distruzione dei Buddha di Bamyan in Afghanistan, fatti esplodere dai talebani nel 2001. Non era infatti bastato occupare con le armi la città storicamente conosciuta con l’appellativo di “Perla del deserto”, ma era necessaria un’azione che provocasse l’intera comunità internazionale e colpisse al cuore la popolazione maliana.

La mattanza dei mausolei è stata una punizione da cui i testimoni dello scempio non si sono ancora ripresi. Ma per quanto i militanti di Ansar Dine possano essere giudicati dei fanatici, Timbuctù rappresentava e rappresenta tuttora per i jihadisti un bersaglio che per molti aspetti è considerato più sensibile rispetto alle atre due regioni di Gao e Kidal, che insieme formano il nord del Mali, un territorio più grande della Francia.

Fin dalla sua nascita verso la fine dell’XI secolo, Timbuctù era il punto d’incontro tra il “bianco” e il “nero”, tra le popolazioni del mondo arabo e quello africano. La città dei 333 santi è descritta dai suoi abitanti come una grande porta situata al bordo dell’oceano: il Sahara. I cammelli che come barche venivano dal nord raggiungevano dopo diversi giorni di viaggio le piroghe delle popolazioni che abitavano più a sud, lungo il fiume Niger. Questi due mezzi di trasporto facilitavano i sempre più frequenti scambi commerciali che resero Timbuctù un’importante crocevia di tradizioni e conoscenza.

Per secoli le principali merci furono l’oro, il sale e gli schiavi. Il loro valore economico attraeva arabi ed ebrei, africani ed europei. La perla del deserto era considerata anche un centro africano dove poter apprendere non solo gli insegnamenti coranici, ma anche discipline come scienza, matematica e medicina.

“Timbuctù è l’unica città dell’Africa nera che ha avuto un’università non influenzata dalle scuole di pensiero formatesi in nord Africa o nel Golfo persico,” afferma Mohamed Haidara, una guida turistica maliana fuggita dalla regione per via della ribellione, “Egitto, Marocco, Algeria, Arabia saudita, sono tutti Stati in cui le università hanno manipolato l’interpretazione dell’Islam a seconda dei propri interessi. I musulmani di Timbuctù vantano invece un’indipendenza storica e religiosa che ha permesso loro di seguire la propria strada moderata – spiega Haidara – è quindi impensabile che ci venga imposta la versione della sharia voluta dagli integralisti”.

Molti studiosi perseguitati nei propri paesi d’origine si trasferivano nella regione con la loro ricchezza intellettuale. Timbuctù diventò presto una città internazionale fornita di oltre 700 mila preziosi manoscritti, tra cui documenti dell’era medievale africana, libri o semplici testimonianze dell’epoca.

“Dal XVI secolo in poi, con la modernità, è iniziato il periodo di decadenza”, sostiene Salem Ould Elhaj, originario di Timbuctù e professore di storia che per oltre trent’anni ha insegnato in diverse scuole del nord maliano, “I cammelli e le piroghe sono stati sostituiti da barche a motore, treni, e aerei. Il progresso scientifico ha distrutto Timbuctù; il commercio cambiò aspetto, non puntava più verso l’interno, ma con incomprensibile avidità si dirigeva verso l’esterno, raggiungendo le coste dell’Africa Occidentale”.

Gli abitanti della regione iniziarono a recarsi in Algeria, Mauritania, Costa d’Avorio e Nigeria. Dopo ogni viaggio, tornavano a Timbuctù con conoscenze alternative grazie alle quali riuscivano ad arricchirsi velocemente. Vedendo ciò che succedeva nei paesi delle coste africane, abbandonavano i cammelli per comprare le auto. Costruivano case, gestivano alberghi, e aumentavano i mezzi di trasporto diventando dei veri uomini d’affari. Inoltre, permettevano ai loro figli di frequentare le scuole. È così che è rinata la perla del deserto.

Nella regione di Timbuctù i principali commercianti sono gli autoctoni neri e le minoranze arabe. Recentemente c’è stato anche un flusso di ghanesi e di altre etnie del Mali come i markà (o sarakolè). Gli antenati di quest’ultimi avevano creato il primo impero dell’Africa Occidentale, quello del Ghana, e da alcuni decenni si sono stanziati nella regione di Kayes, in Mali e nel sud-est della Mauritania. Ma molti di loro vivono anche in Francia, Italia, Stati Uniti e Dubai.

A Timbuctù costruiscono hotel, vendono telefonini e qualsiasi altro tipo di oggetto, gestiscono i trasporti e si occupano delle transazioni di denaro. Portano il loro commercio ovunque a livello internazionale, mentre gli appartenenti alle minoranze arabe si occupano soprattutto dei commerci del Sahara in paesi come la Mauritania e l’Algeria.

A Timbuctù risiedono inoltre i tuareg, una comunità meno numerosa di quella nella regione di Kidal ma comunque molto importante. Il Movimento nazionale per l’indipendenza dell’Azawad (cacciato da Timbuctù a causa degli insorti jihadisti) e Ansar Dine sono entrambi gruppi ribelli a maggioranza tuareg. Essendo una popolazione berbera e semi-nomade, i tuareg sono grandi conoscitori del deserto. Gran parte dei commerci e dei traffici sono affidati proprio alle loro capacità d’orientamento quando si tratta di affrontare il Sahara.

“Tutto quello che ha a che fare con materiale di costruzione, sigarette, cucina, viene dal sud verso Timbuctù”, assicura un commerciante locale sotto anonimato per paura di rappresaglie, “I prodotti alimentari, le bevande e gli oggetti come frigo, televisioni e registratori arrivano invece dal nord Africa, verso Timbuctù. Quasi tutto passa attraverso il Sahara. Ai commercianti e trafficanti di oggi basta guardare le stelle e non si perdono mai, sono figli degli anziani allevatori che prima camminavano per il deserto e ora utilizzano le macchine, facilitando e velocizzando il loro lavoro. Come i portoghesi e gli spagnoli conoscevano il mare, così noi possiamo attraversare il Sahara ad occhi chiusi”.

Dalla metà degli anni settanta, la regione di Timbuctù è diventata la principale via per i traffici di esseri umani, macchine rubate, sigarette, droga, armi, rifiuti tossici, farmaci contraffatti e molto altro materiale che si preferisce trasportare senza dare troppo nell’occhio. L’immensità del deserto aiuta a nascondersi o a cambiare direzione con grande facilità. I fuori pista usati dai trafficanti lasciano un reticolo di impronte di pneumatici sul suolo, e grazie al silenzio che regna durante il viaggio è possibile notare i fari di un’auto o sentirne il rumore a oltre 30 km di distanza.

Dalle province di Gao, Ansongo, Kidal, Goundam, Lerè, partono camion e 4×4 che sfrecciano verso il nord, circumnavigando Timbuctù, per dirigersi verso il bacino del Taoudenni dove fino a poco tempo fa erano in corso diverse esplorazioni petrolifere avviate da Italia, Algeria e Australia. I trafficanti raggiungono poi le coste del Marocco attraverso l’Algeria.

Il Mali ha 14 milioni di abitanti, ma tutto il nord, circa due terzi del paese, non ha neanche due milioni di persone. Di queste, solo 500 mila abitano la regione a nord di Timbuctù, poiché il resto della popolazione è concentrato sul fiume Niger. Alcune stime parlano di un abitante per 8km quadrati; per questo i traffici passano indisturbati.

I maggiori trafficanti nel nord del Mali sono arabi e tuareg che hanno legami con le loro “controparti” in Venezuela, Messico, Europa, e America. Il deserto è un mare dove gli aerei, piccoli e grandi, si posano su piste d’atterraggio sparse per tutto il territorio, alternandole a seconda delle necessità. Alcune di esse sono state costruite negli anni, altre sono invece naturali. Il Sahara non è fatto di sole dune, ma anche di montagne, rocce, e altipiani dal terreno solido. Le 4×4 mantengono le comunicazioni con i velivoli in arrivo e una volta raggiunti, scaricano la merce e ripartono immediatamente. Secondo alcune fonti locali, un autista che trasporta droga può ricevere fino a 20 mila euro per ogni viaggio, una cifra altissima nel contesto saheliano.

Secondo quanto appurato dagli investigatori che si sono occupati dell’aereo trovato vicino a Bourem (regione di Gao) nel 2009, il Boeing 727 trasportava 10 tonnellate di cocaina (per un valore di 300 milioni di euro) provenienti dal Venezuela. La merce è stata raccolta da alcuni 4×4 che sono subito ripartiti verso il nord di Timbuctù. L’aereo è stato invece bruciato prima che le autorità potessero arrivare sul luogo. Questo è l’unico caso di traffico di droga documentato nella storia del nord Mali. Il contrabbando di sigarette sembra avere invece un valore di “centinaia di milioni di euro”, secondo uno studio sulla regione presentato a marzo 2012 all’Assemblea nazionale francese. Le cifre sui vari traffici sono comunque quasi inesistenti o imprecise.

L’intero nord maliano è ora controllato dai jihadisti che sfruttano i vari punti di passaggio per riscuotere tasse o provvedere alla “sicurezza” lungo il tragitto. A causa del recente flusso di sfollati, Timbuctù si è infatti ormai svuotata. Oltre ai militanti di Ansar Dine e ai guerriglieri del Mnla, la regione è occupata dagli integralisti di al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) e il Movimento per l’unicità e il jihad in Africa Occidentale (Mujao). Mentre Aqmi, di matrice algerina, si aggira in diversi paesi del Sahel da anni, il Mujao si è formato quest’anno con l’intento di portare la propria “guerra santa” in tutta l’Africa occidentale. I residenti affermano che i vari attori della ribellione sono appoggiati soprattutto dall’Arabia Saudita e dal Qatar.

Dopo secoli di pace e sufismo, Timbuctù è ora in mano al fondamentalismo islamico. Lapidazioni, frustate e tagli di mano sono le punizioni per chi non rispetta le regole della sharia, che non ammettono adulterio, avere figli fuori dal matrimonio, fumare, ascoltare musica o bere alcol. Bar e ristoranti sono stati tutti chiusi. I militanti di Ansar Dine – qualche centinaio – controllano la città e occupano vari edifici amministrativi.

I ribelli hanno occupato alcuni degli alberghi principali, come l’hotel Azalai, chiamato anche hotel Libia da quando è stato comprato da Muammar Gheddafi l’anno scorso. I grandi spazi nel giardino dell’Azalai sono diventati inoltre campi d’addestramento dove i militanti si esercitano quotidianamente. L’hotel la Maison non serve solo come abitazione ma è anche usato come “palazzo di giustizia”, dove chiunque non rispetti le norme della sharia viene processato e giudicato. I jihadisti occupano poi anche l’hotel Palmirai e l’hotel du Desert. Un altro campo d’addestramento è situato dove una volta risiedeva la gendarmeria, un edificio murato sopra cui ora sventola la bandiera nera di Ansar Dine. Le banche sono state tutte sequestrate e una di esse, la Banque Malienne de Solidaritè (Bms), adesso opera come stazione di polizia e prigione; gli insorti sorvegliano l’aeroporto e il campo militare che prima della ribellione apparteneva all’esercito maliano; il centro Ahmed Baba, che una volta ospitava centinaia di manoscritti, è anch’esso sotto il loro controllo.

La comunità locale, dopo aver trasferito i preziosi documenti in un altro centro vicino alla moschea di Sankorè, teme che Ansar Dine possa ripetere contro di essi ciò che ha già fatto contro i mausolei. Sebbene i militanti ora occupino persino quest’ultimo centro, per il momento tale minaccia non si è concretata. Ci sono però molti altri luoghi in cui dormono e si addestrano i fondamentalisti e la cui ubicazione è tenuta segreta.

Nella regione vivono invece i militanti di Aqmi che entrano in città solo quando lo considerano necessario. Il 25 novembre 2011, Timbuctù è stata infatti teatro del rapimento di due turisti olandesi e un sudafricano (un tedesco è stato ucciso perché ha tentato di ribellarsi); mentre nell’aprile 2012 è stata sequestrata una suora svizzera in seguito  rilasciata – apparentemente grazie a un riscatto. Tra gli accampamenti sparsi nel deserto risiedono i guerriglieri tuareg del Mnla che un tempo facevano parte dell’esercito: dopo un breve periodo di gloria, sono stati sconfitti dai fondamentalisti e al momento sono in attesa di una nuova ribellione.

 

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Matteo Fraschini Koffi - Giornalista Freelance