Tsunami di guerra e fame dal Mali fino alla Somalia

per Avvenire

Sahel, quattro conflitti sulla pelle di 36 milioni di disperati

DA LOMÉ (TOGO) - Non ci sono facili vie d’uscita. Dal Sahel Occidentale fino all’estremità orientale, la lotta al terrorismo islamico e i combattimenti contro varie ribellioni radicate in Africa centrale, continueranno a seminare vittime. Dal Mali alla Somalia, passando per il Ciad e i due Sudan, a delle fasi iniziali esplosive seguono logoranti conflitti di bassa intensità, ma ugualmente micidiali.

E senza un miglioramento delle condizioni di sicurezza, le crisi umanitarie non avranno alcuna speranza di miglioramento: incancrenite da anni di combattimenti continueranno a chiedere il tributo di morte. Nella fascia saheliana, sono oltre 36 milioni i civili che rischiano di morire di fame. Popolazioni disperate che, se non trovano i mezzi per riuscire a fuggire dalle guerre in corso, sono destinate a subirle quotidianamente. Con circa 4 milioni di sfollati e rifugiati affetti dalla crisi alimentare, il conflitto maliano è passato a una nuova fase. «Dopo i primi quattromila militari spediti in Mali

lo scorso gennaio – ha recentemente reso noto un comunicato del ministero della Difesa francese –, lasceremo mille soldati sul territorio che, insieme ai caschi blu dell’Onu»: si «occuperanno di dare la caccia ai ribelli qaedisti nell’intero Paese». Un’impresa, però, tutt’altro che facile.

Sebbene l’esercito maliano rimanga a parole fiducioso rispetto alle proprie capacità d’azione, la missione dell’Unione Europea incaricata degli addestramenti dei soldati in Mali (Eutm) sta avendo enormi difficoltà. «C’è moltissima confusione all’interno dello stesso esercito maliano e l’equipaggiamento è scarso e obsoleto – ha riferito alla stampa uno degli addestratori della Eutm –. Ci risulta molto difficile insegnare i metodi di contrasto alla guerriglia tali condizioni». Le forze di pace delle Nazioni Unite arriveranno a luglio per aiutare il Paese a combattere quella che si prospetta come un’altra lunga e dolorosissima guerra africana. I vari gruppi ribelli nel nord del Mali stanno colpendo con attacchi mirati, veloci e, sempre più spesso, fatali. La Somalia centro-meridionale si trova nella stessa situazione già dal 2006, quando i qaedisti di al-Shabaab iniziarono la loro mattanza. Non solo attraverso attentati suicidi e violenti attacchi contro le autorità e le truppe dell’Unione Africana, ma impedendo l’arrivo degli aiuti umanitari alla popolazione. «Dobbiamo rimanere molto vigili poiché i miliziani ora si mimetizzano facilmente tra i civili», hanno recentemente avvertito le autorità del governo somalo.

Preoccupato di questa nuova realtà del conflitto, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha appena approvato il dispiegamento in Somalia dei propri militari per un anno a partire da giugno. «La nuova missione rappresenta una chance di spezzare il circolo vizioso di massicce violazioni di diritti umani e impunità», ha detto ieri Philippe Bolopion, responsabile dell’Ong Human rights watch all’Onu. La tensione rimane quindi altissima nel Paese, dove 2,7 milioni di persone hanno bisogno di un’immediata assistenza.

Ma le violenze rendono instabili anche gli Stati più centrali. In Ciad , dove 1,8 milioni di cittadini soffrono della mancanza di cibo, l’altro ieri è terminata un’operazione di sicurezza contro un apparente tentativo di golpe e sono state uccise almeno quattro persone. «Prima degli arresti – commentavano le radio locali – vi è stata una sparatoria davanti a delle caserme militari alla periferia della capitale N’Djamena seguita da un altro incidente in una chiesa». Di fondo resta però un conflitto che non trova ancora sbocchi nella normalizzazione.

E nonostante i leader del Sudan e del Sud Sudan , rispettivamente Omar el-Bashir e Salva Kiir, si siano da poco incontrati per accordarsi sul riavvio del processo di pace e delle esportazioni di petrolio dal sud attraverso il nord, rimangono forti incomprensioni. E sacche di guerriglia ancora fuori controllo. «I ribelli del Splm-Nord hanno lanciato diversi attacchi settimana scorsa – affermavano i media locali solo giovedì scorso – il recente primo turno dei colloqui di pace non ha fornito alcun progresso». Secondo le agenzie umanitarie, la vita di 7,5 milioni di perso­ne, tra Sudan e Sud Sudan, rimane drammaticamente ancora appesa a un filo.

 

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Matteo Fraschini Koffi - Giornalista Freelance