Montagne Russe Post Mandela

per L'EUROPEO

 

È il pensiero comune di molti cittadini africani riconoscere che ogni Paese del mondo ha il leader che si merita. Dove c’è passività sociale diverse forme di dittature prosperano. È il caso del Togo, del Gabon o della Guinea Equatoriale, per dirne alcuni. Dove c’è paura tra la popolazione, invece, prevale l’anarchia caratterizzata dalla brama di potere in seno alle diverse fazioni in gioco. L’esempio più chiaro si riscontra in Somalia, ma in un certo senso anche in Sudan e nella Repubblica democratica del Congo. Quando invece prevalgono coraggio e volontà civile, attraverso un processo lungo e difficoltoso, iniziano a delinearsi alcuni aspetti della democrazia: questo sta avvenendo in Ghana e in alcuni Paesi dell’Africa orientale. Ma per il Sudafrica, che è al primo posto tra le economie dell’intero continente africano ed una nazione che ha vinto l’ignoranza e la violenza dell’apartheid, la successione dei leader non sembra aprire le porte a un futuro promettente. Dall’elezione di Nelson Mandela nel 1994, il Paese è passato per i (quasi) due mandati presidenziali di Thabo Mbeki (1999-2009), fino all’elezione dell’attuale presidente Jacob Zuma. E se la componente decisiva di una qualsiasi leadership deriva dal carattere della persona che la interpreta, oggi il Sudafrica si presenta come uno degli stati politicamente più confusi dell’Africa. Gli ultimi due presidenti, infatti, non potrebbero essere più diversi tra loro. Pur appartenendo allo stesso partito, l’African National Congress (Anc), ed essendo nati a distanza di soli due mesi nello stesso anno, il 1942, le loro storie personali hanno prodotto due caratteri apparentemente incompatibili e opposti. L’imperscrutabile e tecnocratico Thabo Mvuyelwa Mbeki ha poco da condividere con il populismo dell’estroverso Jacob Gedleyihlekisa Zuma. Il primo non si è mai trovato a suo agio in nessun tipo di ballo, pubblico o privato che fosse, mentre il secondo balla persino le danze tradizionali, con tanto di lancia, scudo e veste leopardata, armatura tipica della popolazione degli zulu,di cui è un orgoglioso figlio. Anche se hanno ufficialmente iniziato l’attività politica tra le file dell’Anc quando erano ancora minorenni, Mbeki e Zuma hanno passato segnato da eventi e condizioni quasi contrari, a cominciare dalla famiglia. Nato e cresciuto a Idutywa, in quella che ora è la provinica dell’Eastern Cape, Thabo ha vissuto i primi anni con i tre fratelli e i genitori, Govan, il padre ed Epainette, la madre. Benché la mamma, insegnante e attivista politica come il papà, nutrisse grandi aspirazioni per i figli, fu la ferma devozione di Govan nei confronti della causa a influenzare maggiormente i ragazzi, e in particolare Thabo. Oltre che sostenitore dell’Anc, Govan Mbeki era membro del Partito comunista sudafricano. In casa, la famiglia Mbeki, di etnia Xhosa, aveva appeso un ritratto di Karl Marx e uno del Mahatma Ghandi. Thabo Mbeki si è sempre definito, per questo, un uomo “born into struggle”, nato nella lotta. Nello stesso periodo, nel villaggio di Nkandla (odierna provincia del KwaZulu Natal), Jacob Zuma, che allora aveva tre anni, vide morire il padre poliziotto. La madre, una domestica, si trasferì allora con Jacob e il fratello Michael all’estrema periferia di Durban. Il futuro presidente del Sudafrica non ha potuto nemmeno terminare la scuola elementare. Mbeki, invece, ha ricevuto tutta l’istruzione possibile. Il tormentato contesto storico in cui ha vissuto, gli ha impedito però di concludere i suoi studi in Sudafrica. Dopo che Mbeki aveva preso per corrispondenza una laurea in economia dell’università di Londra con i massimi voti, l’Anc venne dichiarato illegale e il ragazzo, da tempo coinvolto in attività clandestine tra Pretoria e Witwatersrand, dovette lasciare l’Africa. Fu il partito a suggerirlo: era il 1962. Un anno dopo, Jacob Zuma, formalmente membro dell’Anc dal 1959 e accusato, assieme a decine di suoi compagni, di cospirare contro il governo, iniziò a scontare una sentenza a dieci anni a Robben Island. Nonostante ciò, Jacob mantenne la sua verve di sempre: assunse il ruolo di arbitro durante le partite di calcio dei prigionieri, e continuò a scherzare un po’ con tutti. Tra i suoi più stimati co-prigionieri, c’era Nelson Mandela. Per Thabo Mbeki, invece, non fu probabilmente facile lasciare la lotta sul campo, ma fin dai primi anni dell’esilio, trascorsi soprattutto in Inghilterra, grazie alla sua determinazione, ottenne un master in studi africani all’università di Sussex e un lavoro nell’ufficio londinese dell’Anc. Dopo aver ricevuto un addestramento militare nell’Unione Sovietica, Mbeki portò la sua battaglia nelle varie sedi dell’Anc, che militava in paesi come Nigeria, Botswana, Swaziland e Zambia. I percorsi dei due futuri Presidenti s’incrociarono forse per la prima volta nel 1975, in Swaziland. Zuma, anche lui costretto a lasciare il Sudafrica, visse lunghi periodi in Zambia e Mozambico dove, anno dopo anno, salì i gradi dell’Anc fino a diventarne il capo dei servizi segreti. Ma già in quel periodo, la fama di Zuma cominciò a vacillare e il suo comportamento rivelò una natura contraddittoria. Ritornato dall’esilio nel 1990, Zuma è stato incapace di mantenere il potere dell’Anc nella sua provincia, il KwaZulu Natal. La popolazione si schierò dalla parte dell’Inkatha freedom party (Ifp), un partito che, sostenuto dal governo degli afrikaner ormai prossimo alla sconfitta, si scontrò ferocemente con l’Anc. Nel frattempo Mbeki era tornato in Sudafrica dopo 28 anni d’esilio. Mandela era stato liberato nel 1990, e Mbeki divenne il principale assistente. Gli esperti sostengono che Madiba (titolo onorario della popolazione Xhosa risevato a Mandela) assunse il ruolo d’ispiratore e promotore della “nazione arcobaleno”, mentre Mbeki aveva il compito di rendere politicamente e socialmente concreta quell’immagine. Dopo una lotta per il potere dai toni molto soft, nelle elezioni del 1999 Jacob Zuma si è aggiudicato la vicepresidenza, mentre Thabo Mbeki è stato nominato secondo presidente nel Sudafrica post-apartheid. Mbeki ha rinnovato il suo impegno con un secondo mandato, nel 2004. Già nel 2002, però, quelle che fino a quel momento erano state incomprensioni personali e private assunsero un carattere pubblico. Secondo Rian Malan, scrittore sudafricano e autore del bestseller My Traitor’s Heart, la rivalità tra i due leader sorse quando Mbeki, noto per la sua tendenza all’isolamente e una certa vocazione alla paranoia, iniziò a sospettare che Zuma stesse ordendo un complotto per scalzarlo. “Thabo è un dissidente intellettuale abituato da tutta una vita a combattere contro l’opinione della maggioranza,” ha scritto il biografo di Mbeki, Mark Gevisser. In quegli anni, la popolarità dell’ex Presidente, sia all’interno del partito sia tra i cittadini sudafricani, ha cominciato a diminuire. I fattori sono stati principalmente tre. Primo fra tutti, la delusione sociale nei confronti di un governo impotente davanti all’aumento del divario tra ricchi e poveri, nonché all’aggravarsi della criminalità. Negli anni di governo, Mbeki, ideatore dell’ambizioso concetto di “rinascimento africano”, ha promosso una politica che ha spinto il partito lontano dai principi marxisti, e sempre più verso il sostegno al libero mercato. Questa strategia ha provocato, alla lunga, nel maggio del 2008, le rivolte nelle baraccopoli di varie città sudafricane, accese anche da un imponente flusso immigratorio. Mbeki si è inimicato poi la comunità internazionale per due motivi. Durante il lungo processo che l’ha visto principale negoziatore nel periodo post-elettorale in Zimbawe, l’ex Presidente è stato accusato di essere troppo morbido con Robert Mugabe, il padre-padrone del Paese da ben 30 anni. La sua popolarità si è ridotta anche in relazione alla politica sanitaria e alle sue opinioni sull’inesistente legame tra il virus HIV e l’Aids. Le statistiche dimostrano che il mancato intervento del ministero della salute di fronte all’emergenza dell’Aids, ha causato la morte di 350 mila persone nel 2007, circa mille sudafricani al giorno. Una merito però gli va riconosciuto: l’ex Presidente ha fatto crescere l’importanza del Sudafrica, non solo nel continente, ma a livello mondiale. Prima, come architetto della Nuova collaborazione per lo sviluppo dell’Africa (Nepad); poi come sostenitore delle relazioni economiche tra Brasile, Russia, India e Cina (Bric), e come promotore del forum India-Brasile-Sudafrica (Ibsa). Per Jacob Zuma invece, uno dei leader più controversi, i problemi hanno assunto un carattere giudiziario quando le autorità sudafricane (e non solo) hanno iniziato a sospettare il suo coinvolgimento in una compravendita di armi. Mentre il suo consigliere finanziario, Schabir Shaik, è stato accusato di essere il principale investitore ed è stato condannato a 15 anni di prigione (è stato rilasciato dopo meno di due anni), Zuma è stato assolto dalle accuse di corruzione e frode per mancanza di prove certe. Ma prima della sentenza, nel 2005 Mbeki l’ha estromesso dal ruolo di vicepresidente. Zuma è stato coinvolto anche in un’altra causa: è stato accusato di aver stuprato la figlia trentunenne di un suo compagno di partito, pur sapendo che la donna era sieropositiva. In aula, davanti alla costernazione generale, ha affermato sorridendo di essersi fatto la doccia dopo il rapporto per evitare la trasmissione del virus. A questa dichiarazione, varie organizzazioni umanitarie sia sudafricane sia internazionali hanno sollevato una protesta vivacissima. Ma Zuma, abile demagogo, forte della fedeltà dell’ala giovanile dell’Anc, è riuscito a dirottare anche questa causa a suo favore, poco prima di essere eletto presidente, nel maggio del 2009. Mbeki, ormai sconfitto dalla popolarità di Zuma, gli ha passato il testimone qualche mese prima del termine del suo secondo mandato. L’attuale presidente, che più volte si è definito un socialista, sembra avere il sostegno delle masse e l’appoggio di una comunità internazionale che apprezza la sua maggiore intransigenza verso Mugabe. Benché, con una buona dose di retorica, il Presidente insista nel promettere maggiori sforzi nella lotta contro la povertà e nel sostegno ai sindacati, il giornale britannico The Guardian ha scritto che Zuma sta anche proteggendo calorosamente gli interessi degli investitori, nonché i suoi. A distanza di quasi un anno dalla sua vittoria elettorale, il leader del Sudafrica non ha ancora resa pubblica la reale consistenza del suo patrimonio. Poiché si è sposato cinque volte e ha probabilmente più di 20 figli, non gli risulterà facile mantenere tutte le famiglie, protestano in molti. L’arcivescovo di Città del Capo e premio nobel per la pace, Desmond Tutu, non è mai stato un particolare fan di Thabo Mbeki, né lo è di Jacob Zuma che, anzi, considera “una vergogna per la nazione.” Il Sudafrica, mentre si appresta a fare in modo che il campionato mondiale di calcio passi senza intoppi, sembra rimpiangere i giorni in cui Mandela si guadagnava non solo il rispetto dei suoi sostenitori, ma anche dei suoi oppositori. Giudicare il presente sudafricano come un fallimento sembra comunque prematuro. Come spesso diceva il vecchio Madiba prendendo in prestito una massima di Confucio: “La vera gloria non sta nel mai cadere, ma nel rialzarsi ogni volta che si cade.” [Fine]

 

 

Matteo Fraschini Koffi

 

 

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