In cammino 14 ore per vendere un po’ di latte

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LOMÉ, Togo - «Voglio sacrificare me stessa per provvedere alla mia famiglia». Le parole di Prescila Nuong, 40 anni, madre di otto figli, hanno commosso la giornalista canadese Sam Mednik durante un recente viaggio presso la località di Warabiei, nella regione centrale del Sud Sudan. E la sua storia ha cominciato a circolare. È su queste strade di rocce e arbusti che Nuong cammina per 14 ore al giorno con l’obiettivo di raggiungere la città di Rumbek. «C’è così tanta fame nella nostra comunità – racconta la donna –, per questo mi dirigo verso il mercato più grande a vendere ciò che rimane del latte delle nostre mucche». La strada però è pericolosa. Nuong ha detto di come è stata attaccata e derubata dai banditi, anch’essi affamati, che spesso incrocia sul suo cammino. La realtà del Sud Sudan, il Paese più giovane al mondo, continua ad aggravarsi. Secondo le stime dell’Onu, in seguito all’inizio dell’ultimo conflitto civile nel dicembre del 2013, «sono almeno 50mila i morti, 6 milioni le persone bisognose di assistenza e 1,7 milioni i civili sull’orlo della carestia». Una carestia che, nonostante sia stata dichiarata ufficialmente conclusa lo scorso giugno, continua a provocare terribili conseguenze. «Non siamo davanti alla “solita carestia”, spiega dalla capitale sudsudanese, Juba, Fai Hassan dell’organizzazione umanitaria, War child International (Wci). «Normalmente la carestia è il risultato di fenomeni causati dalla natura, come uragani, inondazioni, siccità, incendi. Questa volta invece – sottolinea Hassan – il Sud Sudan è vittima di una fame causata dalla guerra, dagli uomini, il che è ancora peggiore perché tutto questo poteva essere evitato». In Kenya, una delle economie più avanzate del Continente, la siccità sta invece rendendo sempre più dure le condizioni delle popolazioni che vivono soprattutto nelle regioni settentrionali di Turkana e Marsabit. «La mancanza di una vera stagione delle piogge per la terza volta consecutiva dall’inizio 2016 sta avendo gravissime conseguenze rispetto ai livelli di malnutrizione tra i bambini», ha affermato ieri l’Unicef. Circa 370mila minori in tutto il Paese hanno bisogno di assistenza medica per trattare casi di malnutrizione acuta. Un radicale aumento rispetto ai 343mila registrati a febbraio. Una siccità prolungata sta colpendo non solo le persone ma sta uccidendo anche gran parte del bestiame nel Corno d’Africa. «Per almeno 6,2 milioni di somali è necessaria un’immediata assistenza umanitaria – recita una nota dell’Organizzazione Onu per il cibo e l’agricoltura (Fao) –. Il rischio di una carestia persiste soprattutto nel nord-est della Somalia e nelle zone popolate da sfollati». La situazione è molto grave anche nelle regioni vicine o all’interno dell’Etiopia, dove però è spesso vietato entrare a causa delle violenze che le autorità locali vogliono nascondere. «Ho visto distese di terra completamente marroni e foreste con pochissime foglie – racconta ad Avvenire un operatore umanitario appena tornato dal sud dell’Etiopia –. Le mandrie muoiono appena prima di arrivare ai fiumi perché, per i conflitti etnici in corso, il governo non ha dato ai proprietari il permesso di avvicinarsi ai corsi d’acqua». In Africa occidentale i contesti sono molto simili. Nella regione del Lago Ciad, che comprende Camerun, Niger, Nigeria e Ciad, la carestia e la ribellione dei jihadisti di Boko Haram hanno provocato da diversi mesi una crisi umanitaria senza precedenti. «La crisi nel bacino del Lago Ciad ha causato circa 2,5 milioni di sfollati ed è, dopo la Siria, la più importante crisi di profughi a livello mondiale e quella che cresce più velocemente – spiega Coumba Sow, coordinatrice della Fao per la resilienza in Africa occidentale e Sahel –. E in quest’area uno degli ostacoli principali è l’accesso per le organizzazioni umanitarie, che devono confrontarsi con un altissimo livello di insicurezza». Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE - 16 settembre 2017

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