L'inferno d'oro del Camerun nelle miniere abbandonate

mining

Sosthène Samba aveva appena dodici anni quando è affogato in un lago di fango. Insieme ad altre persone voleva tentare la fortuna in una delle centinaia di miniere d’oro abbandonate nella regione orientale del Camerun. L’incidente è avvenuto lo scorso settembre nella località di Kambelé. La stessa sorte è toccata ad altre quattro persone l’anno prima nella medesima miniera. Le vittime erano un bambino di sette anni, un giovane di 20 e una madre con il suo neonato.

«In pochi sanno quanto è pericoloso andare a scavare nelle miniere abbandonate», afferma Brice Mbodiam, giornalista camerunese del sito d’informazione Investire in Camerun:

«Queste grosse buche, profonde diversi metri, si riempiono generalmente di acqua formando dei laghi artificiali. L’imprudenza, quindi – prosegue Mbodiam –, spinge le persone ad avventurarsi rischiando la propria vita». È nell’area di Kambelé, ricca del prezioso metallo giallo, che la Métalicon, come molte altre società minerarie loca- li e straniere, ha scavato per alcuni anni. Una volta esaurita la vena d’oro ha lasciato l’area, senza però preoccuparsi di chiudere i siti rispettando la legislazione locale. Tanto il rischio è irrilevante: le autorità hanno solo imposto 6 mesi di sospensione delle operazioni alla Métalicon. «Nel settore minerario regna da anni l’anarchia – aveva ammesso qualche tempo fa Ernest Ngwaboubou, ministro camerunese di industria, miniere e sviluppo tecnologico –. Con questi fatti è ora necessario mettere ordine nel settore».

Lo “nguéré” è il termine usato per definire la ricerca nelle buche formatesi dopo lo sfruttamento minerario nelle quali trovare solo “briciole” delle fortune estratte da altri. E nonostante le varie promesse del governo, drammi di questo genere continuano a verificarsi senza tregua. «Almeno 43 persone hanno perso la vita in Camerun nel 2017 mentre lavoravano nelle miniere d’oro abbandonate – sottolinea Laurence Wete Soh, avvocato della Foder, un’organizzazione non governativa locale che si batte per la bonifica dei siti minerari –. Le società coinvolte in queste tragedie dovrebbero essere accusate di omicidio colposo, insieme all’amministrazione locale che deve assicurare l’ordine pubblico ». L’ultimo incidente riguarda nove persone travolte da terra e fango mentre scavavano a mani nude in un sito minerario della località di Ngoe Ngoe.

«Il dramma è avvenuto lo scorso 30 dicembre – ha confermato una nota governativa –. Le vittime sono morte in una miniera lasciata senza sorveglianza dalla società cinese, Lu e Lang». Nella notte dopo la tragedia, però, sembra che la compagnia cinese abbia nascosto i propri macchinari e abbandonato l’area: «Li abbiamo sentiti mentre andavano via con le loro auto e mezzi per scavare», hanno raccontato i residenti. «Tra il 2012 e il 2014 sono stati aperti e sfruttati almeno 250 cantieri minerari – affermano studi degli analisti del settore –. Le 65 aziende che li hanno gestiti, incaricate di richiuderli in modo appropriato dopo lo sfruttamento, hanno però ignorato le regolamentazioni e li hanno lasciati aperti».

Dal Senegal alla Guinea, dalla Repubblica democratica del Congo alla Tanzania, tale fenomeno è comune a gran parte degli Stati africani. Lo scorso luglio, 14 persone sono state dichiarate «disperse» dopo che una miniera d’oro artigianale è crollata nella cittadina occidentale di Prestea, in Ghana, secondo produttore del Continente dopo il Sudafrica. «Nelle miniere ghanesi c’è inoltre una consistente percentuale di lavoro minorile – affermava nel 2015 uno studio dell’organizzazione Human Rights Watch –. E da allora la situazione non è cambiata.

Sono almeno 7.400 i bambini che rischiano la vita in questo settore». Molti si ammalano, intossicati dal mercurio liquido usato per separare l’oro dalla sabbia. L’anno scorso, per la terza volta in dieci anni, è stata lanciata una campagna mediatica in Ghana per sensibilizzare la popolazione sui danni che la ricerca dell’oro ha provocato nelle società africane. È servita però a ben poco.

LA «RAZZIA»

A caccia di metalli preziosi: così Pechino sazia la sua fame

La Cina è la potenza straniera con la sete più insaziabile per l’oro africano e altri metalli preziosi. Ma i rapporti tra il Dragone e il Continente sono tutt’altro che piani. Anzi, sono decisamente travagliati. Nel 2013, per esempio, le autorità in Ghana hanno arrestato e rimpatriato 202 cinesi che lavoravano senza permesso nelle miniere d’oro artigianali.

Nonostante ciò, Pechino aveva dichiarato che «le relazioni tra la Cina e il Ghana non saranno danneggiate per tale motivo». Le stesse dinamiche si possono riscontrare anche in altri Paesi africani. Per estrarre rapidamente i metalli preziosi, la Cina invia nelle miniere i suoi cittadini, spesso galeotti disposti (o costretti) a trascorrere il loro periodo di detenzione lavorando in Africa. In cambio, Pechino presta denaro alle autorità africane per costruire edifici come parlamenti, aeroporti e stadi. Attraverso numerose società, tra cui la China national gold group corporation (Cngc), la Cina è legata, direttamente o indirettamente, allo sfruttamento e alle ricerche di miniere d’oro in Tanzania, Repubblica democratica del Congo (Rdc), Mali, Burkina Faso, Guinea-Conakry, Zimbabwe, Madagascar e molti altri Stati del continente. Nella Repubblica democratica del Congo alcune aziende cinesi sono state accusate di «trafficare ed esportare oro illegalmente per un ammontare di 38 milioni di dollari all’anno». Inoltre, il loro modo di investire nel mercato minerario africano sta cambiando. «Mentre un tempo i cinesi collaboravano maggiormente con le aziende statali locali – affermano gli analisti –, da alcuni anni Pechino ha cominciato a lavorare di più con nuove società private in grado di portare avanti i progetti più velocemente». (M.F.K.)

Matteo Fraschini Koffi per AVVENIRE  - 14 gennaio 2018 © RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

Tags: attualità sociale avvenire cronaca politica

Matteo Fraschini Koffi - Giornalista Freelance